Il racconto del mese: Sirena Assassina

21/05/2013

Un giorno Ignazio telefona a Guido e gli dice: “Qualunque cosa tu stia facendo, vieni subito qui.” Guido era sul suo prezioso divano in stoffa verde, con alcune macchie di unto scuro, che si fumava la più grande canna che avreste mai potuto vedere, nel suo accappatoio usa e getta blu rubato in un albergo a una stella nella periferia di Milano. Quell’accappatoio era concepito per essere usato e poi buttato via, ma Guido era contrario alle forme più estreme di consumismo, e l’aveva tenuto anche dopo un centinaio di docce. Guido era un mezzo grassone con i capelli biondi oltre le spalle e un pizzo sul mento tanto lungo da dover essere tenuto a coda con un elastico giallo da scrivania. Il cordless gli sfuggì un paio di volte, poi ritrovò una quasi perfetta articolazione della mano e lo portò all’orecchio. “Chi parla?” Disse. “Sono Ignazio. Vieni qui.” Guido chiuse la conversazione, gettò il cordless sul cuscino del divano e riprese a fumare la sua canna. Non si sarebbe perso la puntata di Walker Texas Ranger per nulla al mondo, figuriamoci per quell’idiota di Ignazio. Ma, il giorno seguente, Ignazio gli telefonò ancora. “Guido, - disse – vieni subito qui.” Erano le sei di pomeriggio. Con un po’ di fortuna, Guido sarebbe riuscito a rientrare per vedersi in santa pace Walker Texas Ranger. Chiuse la telefonata e si alzò. Tenne l’accappatoio, mise addosso un vecchissimo soprabito di lana grezza grigia e infilò un paio di mocassini corrosi dallo sfacelo del tempo. Fuori dal suo monolocale, il pianerottolo era gelido e buio, con una lampadina a vista che disperdeva il suo lume tristissimo sulle vecchie scale, sul vecchio corrimano, sulla vecchia maniglia consumata del vecchio e rugginoso ascensore. Suonò alla porta di fronte alla sua. Una vecchia porta blindata rivestita in formica color ocra, di una tristezza indescrivibile. “E pensare che volevo fare il chirurgo plastico…” Pensò. Gli venne ad aprire un Immenso ciccione calvo con dei massicci e folti favoriti sulle guance che altrimenti sarebbero apparse corrose dall’acne. Anche lui aveva addosso un accappatoio usa e getta blu. Il regalo di Natale del suo vicino. Guido disse a Ottavio: “Ignazio ti vuole vedere.” Ottavio strabuzzò gli occhi chiarissimi. “Chi?” “Ignazio.” Ottavio ci pensò un attimo, poi si picchiò il palmo della mano sulla fronte, fece cenno di attendere un attimo, tornò dentro, tornò fuori e aveva addosso un giubbotto in finta pelle dei tempi di Top Gun e un paio di calzoni da completo sartoriale, tutti lisi e bruciacchiati sugli orli, e solo Dio sapeva dove li aveva recuperati. Sotto portava una maglietta gialla con un immenso Smile sul pancione. Presero la macchina di Guido, una Nissan Micra che, nella migliore delle ipotesi, doveva essere stata rossa, mentre ora tendeva al violetto chiaro. Passarono davanti al Mac Donald’s, al negozio di parrucchiere di Jean Luis David, all’edicola e a molti altri luoghi e infine all’insegna immensa di Dior reclamizzato da Charlize Theron, davanti alla quale stava proprio il minuscolo appartamento di Ignazio. Lo trovarono, seduto su una sedia di vimini, intento a fissare la sua ragione di vita. Fu Guido ad avvicinarsi con cautela, sapeva che Ignazio poteva avere reazioni inconsulte, se lo si disturbava mentre era concentrato. Quella volta, invece, parve quasi percepire la presenza degli amici e si voltò verso Guido prima che questi potesse anche solo sfiorargli una spalla. Ignazio era magro come un chiodo, grigio di capelli, con occhi grandi e marroni e profili spigolosi. Indicò il suo unico, magnifico, ineffabile motivo per stare al mondo e disse, senza alcun preambolo. “Mi vuole uccidere.” Guido e Ottavo si fecero avanti ed osservarono in direzione del suo dito indice. L’acquario contenente Vanessa riluceva di una fluorescenza verde ed era perfettamente pulito, a differenza dell’appartamentino quasi vuoto ma sudicio. Ottavio guardò prima Guido, poi Ignazio e poi ancora l’acquario di notevoli dimensioni, circa un metro cubo d’acqua, con molte rocce al suo interno e una lampadina che, dal basso, lo illuminava. “Chi vuole ucciderti?” Chiese con prudenza. “Lei!” Gridò Ignazio, e si mise ben diritto sulla sedia mentre una murena mediterranea, detta murena Helena, usciva lenta e tetra da una cavità nelle rocce. Guido l’aveva già vista, Ottavio no e disse: “Oh, cazzo, un’anguilla!” “Una murena, non un’ anguilla.” Lo corresse Guido, che prese dalla tasca interna del soprabito un portasigarette d’argento dal quale trasse una piccola canna preparata alla bisogna. Se la accese. Ottavio sembrava rapito dalla visione del pesce. “Ma che cazzo è?” “Lei si chiama Vanessa – rispose Ignazio – è la mia murena. E mi vuole uccidere.” Ottavio si avvicinò al vetro, ma subito si ritrasse. “Ma che cazzo è questo…?” Guido, flemmatico, cercò in una tasca interna del soprabito, ne estrasse il foglio di una rivista e un paio di occhialini microscopici dalla montatura in metallo dorato. Se li inforcò con estrema enfasi e iniziò a leggere. “Murena Mediterranea, detta Murena Helena, è lunga circa un metro e cinquanta centimetri, generalmente marrone con macchie gialle sparse in ordine casuale su tutto il corpo. Vive nelle acque tiepide del Mediterraneo e si ciba di pesci, valve e molluschi che preda durante la notte. Rimane nascosta in anfratti rocciosi per tutto l’arco del periodo diurno. E’ fra le murene più velenose e può provocare la morte di un essere umano.” Finito di leggere, si tolse gli occhiali e li ripose, assieme alla pagina di rivista, nella tasca interna del soprabito. “Ma può uscire dall’acqua?” Domandò allarmato Ottavio. Guido fece cenno di no con la testa. Si lasciò sfuggire un guizzo di sorriso malizioso. “No. – disse invece seriosissimo Ignazio – Non può. Non potrebbe. Ma lei, in un certo modo, ci riesce.” “E’ un pesce quell’anguilla? Respira sott’acqua, no?” “Esatto. – disse Ignazio – Respira sotto l’acqua. E’ un pesce. Io la amo, ma lei mi vuole uccidere. E forse proprio per questo.” Ottavio si passò la mano massiccia sui favoriti ed assunse un’aria quasi piangente. “Io non ci capisco niente…” Disse fregandosi le guance e implorando l’aiuto di Guido che, in tutta risposta, restando sempre alle spalle di Ignazio, alzò le sopracciglia. “Tu non capisci. Ma capisco io. – rispose Ignazio, la voce rapita dagli occhi gialli e penetranti della murena – E’ una murena, ma non lo è. Lei è… Lei.” E indicò fuori dalla finestra alla sua sinistra. Al di là dei vetri polverosi, la splendida immagine di Charlize Theron che pubblicizzava il profumo Jadore di Dior. Sia Guido che Ottavio seguirono il dito di Ignazio. Ottavio non la smetteva di massaggiarsi le guance pelose. “Ma che… E chi cazzo è quella?” Guido alzò le spalle. Quando si voltarono di nuovo verso l’acquario, la murena era sparita. Ignazio si alzò dalla sedia e prese Guido per le maniche del soprabito. “Tu mi aiuterai, vero?” “Certo! – disse Guido allargando le braccia – Ovvio!” “Siamo amici, tu mi credi, vero?” “Ma certo. E’ ovvio.” “E cosa mi consigli?” Guido passò un braccio attorno al collo di Ignazio e lo condusse alla finestra, dalla quale potevano ammirare la bellezza estrema di Charlize Theron ritoccata al computer. Parlava quasi solo Ignazio, continuando a domandargli se l’avrebbe aiutato, mentre Guido rispondeva con “Si certo!” e “Ma ovvio che sì!” sbuffando nuvolette di marijuana. Ottavio era quasi in preda al panico, non capiva e forse, pensava, era meglio così, quand’ecco che la murena fece di nuovo capolino dalle rocce. Era più gialla che marrone, ma soprattutto aveva occhi gialli dalle pupille microscopiche, raggelanti. Occhi spietati, freddi, calcolatori. Ottavio si avvicinò di più. Erano occhi di una predatrice, occhi fosforescenti così chiari e lucidi da sembrare finti, senza vita, mai stati vivi. Ottavio arrivò a toccare il vetro con il naso. La murena era immobile come un serpente in attesa della sua preda. E, d’un tratto, parlò. Ottavio aveva il naso schiacciato alla parete di vetro, i suoi occhi totalmente assenti, spalancati, le sue pupille ristrette per il chiarore che veniva dal basso. E la murena gli disse: metti il braccio nell’acqua, immergi il braccio nell’acqua. Fa un favore al mondo e liberalo della tua inutile, dannosa presenza. Metti quel braccio dentro l’acqua e lascia che mi avvicini… Credimi. La tua dipartita non causerà eccessivo dolore, questa è la sola cosa che mi sento di affermare con certezza.” Ottavio sollevò lentamente il braccio destro, sempre fissando gli occhi immobili della murena. Ma adesso non vedeva più un pesce anguilliforme. Adesso, gli pareva di intravedere una donna bellissima, una figura rarefatta, non a fuoco, qualcosa di non totalmente interpretabile. Il suo braccio si muoveva verso l’acqua, al di sopra della barriera di vetro. Ora la figura era leggermente più nitida, ma ancora troppo lontana per essere chiara. Era una donna, senza dubbio, una donna dai lunghi capelli biondi, che gli diceva: se c’è una persona di cui il mondo può fare a meno, quella sei tu. Metti il tuo braccio nell’acqua e poni fine alle tue risibili sofferenze. Non ti ama nessuno, non ti vuole nessuno, io posso risolvere tutti i tuoi problemi. Mi basta… baciarti. “Ma che cazzo fai?” Il grido di Ignazio giunse come il fragore di una sveglia alle sei del mattino, assieme alla pacca che gli allontanò il braccio dall’acqua. Ottavio si risvegliò. Scosse la testa e si risvegliò. “Sei fatto? Quella è una murena mediterranea, una delle murene più velenose, e tu stavi per mettere il braccio nell’ acqua!” “Ma io ho visto…” Ignazio tornò a sedersi, contemplando la sua murena Helena. All’improvviso, pareva essersi dimenticato che il suo amico stava per firmare la sua condanna a morte. “Ma io ho visto…” Guido lo prese per il braccio e lo condusse verso la porta. “Certo, e chi dice il contrario? Ma adesso dobbiamo andare. Ignazio, lui… Sta meglio, molto meglio, e noi dobbiamo andare. Erano le sette e quaranta, non mancava molto all’inizio di Walker Texas Ranger. Dalla sedia di vimini, la voce oltretombale di Ignazio. “Tu mi aiuterai, vero Guido?” “Ovvio! Naturale! Allora ciao!” “Ma io ti giuro che ho visto…” “Ciao!” Ripetè urlando Guido, e spinse Ottavio fuori dalla porta. Quando furono in strada, si accesero entrambi una sigaretta. “Guido, io devo parlarti. – disse preoccupato  – Guarda che non scherzo. C’è qualcosa di strano in quell’acquario. E… in quell’anguilla! E io l’ho vista!” Guido lo prese sotto braccio e lo condusse alla Micra viola stinto. “Ma chi ha mai detto il contrario? Però adesso dobbiamo andare.” Fu allora, mentre veniva condotto al rottame che Guido spacciava per auto, che sollevò il capo per osservare, un’ultima volta, il manifesto di Dior. Fu allora che rimase paralizzato dal terrore, perché la bellissima testimonial abbassò lo sguardo dalla sua altezza inarrivabile ed osservò i due piccoli uomini sul marciapiede. Ma non aveva i suoi consueti occhi verdi. Aveva occhi gialli, dalla pupilla microscopica, senza vita, mai stata viva. “Guido! Guido, guarda!” Urlò Ottavio. Una vecchietta in cappotto marrone li osservava con disprezzo mentre passava. “E sali, cazzo!” Guido spinse Ignazio dentro la macchina, controllò al polso il suo Casio G-Shock e scosse la testa dai lunghi capelli unti. Mancava poco a Walker Texas Ranger.
Fu una delle migliori puntate che avesse mai visto, e l’aveva vista per la sesta volta, ma gli era comunque piaciuta moltissimo, come sempre. Era facile nel mondo di Walker Texas ranger, pensò. C’erano i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Era tutto molto chiaro e definito. Già, proprio così. Si accese una canna e si accomodò meglio sul divano verde. Sì, sì, era proprio molto facile. Magari bisognava fare a cazzotti, ma era facile comunque. Almeno era facile capire da che parte stare. Meditò qualche attimo su questo concetto. Ci sono cose, nel mondo, che invece non sono affatto chiare. Ecco, per esempio, la murena di Ignazio. Era senza dubbio molto bella, molto colorata, con degli occhi… degli occhi così… aveva degli occhi incredibili, quella murena, l’aveva notato anche lui, non solo Ottavio. Che occhi! Di un giallo acceso, infuocato, ma anche gelido, immobile, con delle pupille microscopiche che a fissarle a lungo… Ma che stava facendo Ottavio? Stava mettendo un braccio nell’acquario. Testa di cazzo. La murena Helena è fra le più velenose della sua specie. Chissà perché lo stava facendo? Forse voleva toccarla. Sì, probabile. Comunque un’idiozia tipica di lui. Guido inspirò la sua roba pakistana. Davano un film con Steven Segal, alla televisione. Imprecò. Non amava per niente Steven Segal. Gli occhi gli si socchiusero. Tirò ancora dallo spinello. Che brutto che era Steven Segal. Cazzo, che sonno gli stava venendo! Si sarebbe fatto una bella doccia prima di dormire. Vide Steven Segal che, dopo aver spaccato qualche cranio, faceva rimbalzare a terra una palla da biliardo in un locale malfamato. Gli occhi avevano una gran voglia di chiudersi. Prese altro fumo e, intanto, alla televisione, ci fu uno stacco pubblicitario. Adesso cambio canale. Pensò. Ma non lo fece. Il sonno lo stava per sopraffare. Decise che sarebbe rimasto qualche minuto sul divano per abbioccarsi, o magari anche una mezz’ora. Fece in tempo a vedere lo spot del profumo Jadore e poi cadde in un sonno profondo. E forse era naturale che lo spot continuasse anche nella prima fase del sonno, o magari una semplice coincidenza. Non si preoccupò più di tanto del fatto. Vide Grace Kelly, Marilyn Monroe, che non trovava attraente quanto Grace Kelly, poi vide un’orientale che non riconobbe e infine vide lei, che indossava un vestito dorato e camminava decisa su una passerella. Nel sogno, Guido era alla fine della passerella con una macchina fotografica e un cartellino con la scritta Press attaccato all’accappatoio. Sempre nel sogno, Guido sorrise e preparò la fotocamera, mentre la modella continuava ad avanzare, fissandolo con occhi fermi, decisi. Lo fissava sempre più intensamente, lo stava guardando con la stessa intensità con cui si guarda un colpevole, probabilmente. O magari no. Magari, pensò Guido, era un semplice caso che lui si trovasse lì, ad essere guardato in quel modo. Un modo che lo inquietava, tuttavia. Charlize Theron arrivò alla fine della passerella, ma lui non la stava fotografando. Era rapito dai suoi occhi gelidi. Guido lasciò cadere la fotocamera e si alzò dal divano verde, improvvisamente spaventato. Charlize Theron si chinò sulle ginocchia, posò le mani a terra e si sporse dalla passerella mostrando, sotto il vestito, un seno morbidamente contenuto. Guido rimase ad aspettare che parlasse, ed infatti parlò. La sua voce era bassa, lievemente roca. “Guido, - disse – rendi il mondo un posto migliore. Alzati davvero dal tuo divano verde, apri la finestra e buttati di sotto. Non farlo in sogno, fallo sul serio. Lo faresti per me? In realtà, lo faresti per tutti. Lascia che qualcuno dica, alla tua morte: almeno qualcosa di buono l’ha fatto. Compi un gesto responsabile verso i tuoi simili. Privati della tua esistenza e libera un po’ di spazio su questa terra. Le persone meno inutili avranno il cibo e l’acqua che tu consumi. Per non parlare del gas, della luce elettrica e poi…” Guido si catapultò all’indietro e il cuore prese a battergli fortissimo nel suo enorme torace. Nel retrocedere, inciampò in un tavolinetto e cadde di schiena sul divano. Respirava come un mantice e si fregò la faccia con le mani per svegliarsi del tutto. L’unica finestra della stanza era spalancata. Il vento gelido della notte entrava, facendogli accapponare la pelle. “Oh, cazzo!” Urlò. Nel ripiombare sul divano aveva premuto il telecomando del televisore con il suo sedere rigonfio di adipe. Ora aveva davanti agli occhi un documentario su La 7 che parlava di animali marini. “La murena Helena – diceva lo speaker con voce rilassata e profonda – è fra le più diffuse della sua specie, e fra le più pericolose. Vive nel Mar Mediterraneo e si ciba…” Con due mani, Guido prese il telecomando e spense il televisore premendo il tasto con entrambi i pollici. Si alzò di scatto, corse in bagno e si lavò la faccia. La sua barba grondava rivoli d’acqua quando fece ritorno nel salotto. Respirava ancora forte, ed era sconvolto. Mi stavo buttando di sotto? Lo stavo facendo sul serio? Corse a chiudere la finestra, inciampò nello stesso tavolino che già lo aveva fatto volare sul divano, cadde a terra imprecando. Si rialzò, raggiunse la finestra e la chiuse stringendo bene la vecchia maniglia d’ottone. Rimase un attimo a pensare, assolutamente incredulo. Solo allora riuscì a dare una vaga forma razionale ai deliri che aveva sentito da Ignazio, nel tardo pomeriggio, riguardo la sua bella creatura nell’acquario. Si scostò i capelli davanti agli occhi, corse all’armadio, si infilò un paio di larghissimi jeans, un maglione a collo alto di lana grezza ed il cappotto grigio. Due minuti dopo era alla guida della sua Nissan Micra, senza la compagnia fastidiosa di Ottavio, che non aveva ritenuta indispensabile. Si diede del folle almeno cento volte, ma sentiva una vocina, nella sua testa, dirgli di correre subito da Ignazio. A quell’ora della sera le strade erano ingombre di traffico. Fece zig zag fra le vetture in colonna con la sua minuscola utilitaria nella quale ci stava appena, e quando vide qualcosa di blu lampeggiare in lontananza, sotto un grande cartellone che pubblicizzava un profumo di Dior, sentì un brivido gelido percorrergli la schiena. Fece ancora qualche decina di metri e si accorse che le luci blu appartenevano ad un’ ambulanza e ad una macchina della polizia. C’erano alcuni passanti, sotto il condominio di Ignazio, ma riuscì a scorgere distintamente i barellieri che issavano sull’autolettiga un lettino imbottito con sopra un sacco nero chiuso con una cerniera. “Oh, Gesù…” Si voltò verso il cartellone pubblicitario. Vide, com’era ovvio, la testimonial di Dior in tutto il suo splendore. Non scese neppure dalla macchina per chiedere informazioni. Fece una brusca inversione di marcia per tornare a casa. Nessuno fece caso alla sua manovra scriteriata, erano tutti concentrati sul sacco nero che l’ambulanza, senza fretta, avrebbe portato via. A Guido ci volle relativamente poco per raggiungere il suo condominio, dato che non rispettò nemmeno i principi del codice stradale. Non prese l’ascensore, ma quando raggiunse il terzo piano il cuore sembrava gli stesse esplodendo nel petto e l’aria aveva un sapore di rame. Ancora ansimante, prese a pugni la porta di Ottavio. “Ottavio! – gridò – cazzo, aprimi, Ottavio! Cazzo, aprimi, Ottavio!” Ottavio era ancora vestito con il suo solito giubbotto alla Top Gun e non aveva nemmeno cenato, quella sera. “Ma che…?” “Dammi la tua fiocina!” Gli intimò Guido. “La mia fiocina?” Ottavio non capiva. “So che tieni in casa una fiocina per difesa personale. Dammela subito!” “Va bene, Guido, vado a prenderla. A che ti serve la mia fiocina?” “Tu dammela e basta!” Passarono solo cinque minuti prima che i due raggiungessero la Micra e si dirigessero, di nuovo, verso la casa dell’uomo che era stato Ignazio. “E’ morto.” Disse Guido. Ottavio fece tanto d’occhi. “Cosa?” “L’ho visto. Cioè, non l’ho visto, ma so che è morto. Lo stavano caricando sull’ambulanza. Ed è stata lei, proprio come diceva.” “Lei chi?” “La murena. Ci ha provato anche con me.” Ottavio si voltò verso Guido con la faccia più ebete che gli fosse mai riuscita, e gliene erano riuscite tante. “Questa sera. Poco fa. Inutile che ti spieghi i dettagli. – Guido si voltò un attimo verso l’amico – Non è quello che sembra, mi capisci?” “No.” Ammise Ottavio. “Cioè, voglio dire che è una murena, ma non lo è. E’… Non lo so. Non fa niente. Capisco io.” Fece stridere le gomme davanti all’abitazione di Ignazio e l’ambulanza aveva già lasciato il luogo, così come la macchina della polizia. C’erano solo alcune persone che guardavano una sinistra macchia larga sul marciapiede coperta da segatura. Guido nascose la fiocina sotto il soprabito. “Ma come facciamo ad entrare?” Domandò Ottavio. Guido lo precedette nell’androne. “Ho una chiave di scorta. Ignazio aveva paura che qualcuno non riuscisse ad entrare una volta che fosse morto all’improvviso, così mi ha dato una chiave di scorta.” Questa volta Guido ritenne il caso di prendere l’ascensore, perché i piani da coprire erano cinque, ed aveva ancora nelle ginocchia i tre che aveva appena percorso sugli scalini. L’ascensore era piccolo, i due ci stavano a stento, con le pance che rimbalzavano l’una sull’altra ad ogni sussulto. “Guido, anche a me quella cosa non sembra quello che è. - accennò Ottavio – Questo pomeriggio, a casa di Ignazio, prima che ce ne andassimo…” “E’ come se ti avesse detto qualcosa?” “Sì, più o meno.” “O ti avesse chiesto di fare qualcosa?” “Più o meno.” “Funziona, questa fiocina?” “L’ho provata contro il tavolo della cucina. Per funzionare funziona.” “Bene.” L’ascensore si fermò. Guido rimase un attimo in attesa prima di inserire la chiave nella serratura. “Ho un piano. – disse – Tu cerca di distrarla. Può darsi che riesca ad avere potere su una persona alla volta. Qualunque cosa succeda, qualunque cosa ti dica di fare, tu cerca di tenere bene a mente che non è una murena, chiaro?” “E cos’è?” Guido girò la chiave. Si udì un click. La porta si aprì, l’interno dell’appartamento era buio, tranne che per il chiarore pallido e spettrale che diffondeva l’acquario. “Io credo – disse Guido con tono grave – che nel mare ci siano tante cose strane. Ma tante, e molto strane.”
Ed eccola lì, nell’irreale chiarore verdastro, due occhi gialli, intensi, freddi e senza vita che scrutavano dalla cavità nelle rocce dentro il suo spazio vitale. Guido e Ottavio provarono un brivido. Sembrava che li stesse aspettando. L’appartamento era immerso nel più assoluto silenzio. Si udivano solo le bolle d’aria che salivano in superficie nel cubo d’acqua che conteneva la creatura, qualunque cosa fosse. Guido, la fiocina carica in mano, si mosse verso sinistra. Ottavio verso destra. “Vai dritto al vetro. – gli disse Guido sottovoce – Falla uscire da lì.” La murena Helena era immobile, gli occhi luminosi che scrutavano i movimenti dei due, file di denti aguzzi pronti a mordere, le pupille minuscole e nere, come un puntino velenoso che perforava il giallo fosforescente. “Ma guarda. Sono ancora vivi. Se ne va uno stronzo e ne arrivano altri due.” Ottavio fece due passi indietro toccandosi le orecchie, ma non aveva udito con le orecchie. “Guido…” Nel suo tono la più assoluta paura. “Non ascoltarla! – gridò Guido – Vai vicino, ricordati che non può uscire dall’acqua.” “E noi che cazzo ne sappiamo? L’hai detto anche tu che non è una murena! Magari questa cosa riesce anche a prendere la metropolitana!” “Non credo.” Ma Guido respirava forte. Nemmeno lui poteva sapere con cosa esattamente avevano a che fare. Teneva la fiocina puntata sul vetro che il dardo, comunque, non sarebbe riuscito a trapassare. “Cosa sono, cosa non sono. Cosa siete voi, piuttosto. Il mondo diventa ogni giorno più cattivo se permette a due rifiuti tossici come voi di andare in giro liberamente.” Ottavio prese una sedia dal tavolo in formica del salotto. “Adesso lo voglio proprio vedere, cosa cazzo fa questa cosa senz’ acqua…” Guido fece in tempo a gridare un “No!” ma Ottavio stava già prendendo la rincorsa con la sedia brandita alla sua destra, pronta ad infrangere i vetri dell’acquario. Guido potè solo puntare la fiocina verso il pavimento, con la speranza di poter colpire la murena una volta che fosse scivolata a terra, trascinata al flusso d’acqua, ma a terra cadde prima la sedia, ed in contemporanea si udì un flop, flop, flop. Poi cadde anche Ottavio, con tutta la sua mole. Lentamente, una gamba per volta, si inginocchio, lo sguardo fisso nel vuoto, un rivolo di sangue che gli solcava la fronte e colava dal naso, infine cedette l’intera sua massa, e un riflesso nervoso superstite lo scosse per alcuni istanti. La macchia di sangue si allargò al suolo fino a creare un’aureola rossa attorno alla sue testa. “Butta quella fiocina, Guido, o qualcuno potrebbe pungersi.” Una voce nella penombra, calma, conosciuta. Una mano che esce dal buio, armata con una CZ 75 dotata di silenziatore. Poi, la sagoma distinta di un uomo, e la murena fece un guizzo fuori dal suo rifugio nelle rocce per entrare in un altro anfratto. “Ignazio!” Quasi gridò Guido. “Così mi hanno detto che mi chiamo, in effetti.” “Hai ucciso Ottavio!” “Sei sempre stato un acuto osservatore, Guido.” “Ma tu eri morto! Io ti ho visto mentre ti caricavano sulla lettiga, io…” Guido si appoggiò col fianco destro all’acquario, il sangue di Ottavio che quasi gli toccava la punta delle scarpe, un sorriso gelido di denti giallastri. “No. – disse – E’ probabile che tu abbia visto un sacco nero sotto la mia finestra, contenente un cadavere, che veniva caricato su una lettiga. Per tua immensa sfortuna, il cadavere non era il mio.” Guido fece un passo indietro, si passò una mano fra i capelli che gli scendevano sugli occhi. Con l’altra mano teneva ancora, forse senza nemmeno saperlo, la vecchia fiocina di Ottavio. “E allora di chi era quel cadavere?” Domandò con la voce ridotta ad un rivolo di suono fuori dalla sua gola secca. Ignazio alzò le spalle e inarcò le labbra all’ingiù. “Un tizio a cui dovevo dei soldi, molti soldi, e che invece mi ha dato i suoi prima di buttarsi dalla finestra. Stefano mi pare che si chiamasse. Stefano qualcosa, non posso ricordare tutti i dettagli. In ogni caso, io non l’ho nemmeno toccato.” Guido cercò istintivamente la murena nell’acqua rio ma non la vide. “Sì, è stata lei. – chiarì Ignazio – Non prendiamoci in giro. L’hai capito tu e l’aveva capito perfino quel deficiente di Ottavio. E’ stata tanto gentile da sgomberarmi perfino dalla polizia che mi avrebbe portato in questura per farmi un mucchio di domande. E così ha fatto con i vicini.” “E adesso ti farà anche sparire un cadavere da casa tua, che hai ucciso con la tua pistola?” Guido si masticò un labbro e fece ancora spallucce, come a riflettere su una questione priva di importanza. “Molto probabile che sia tu a portarlo via di qui, magari questa notte, mentre tutti dormono. Molto probabile che la polizia troverà il cadavere in casa tua, ma prima di lasciarti andare ti chiederò di darmi tutti i tuoi buoni postali che custodisci tanto gelosamente nel freezer, dentro la confezione dei surgelati Findus. Magari ti metterò in tasca anche la mia pistola non denunciata, tanto ci metto un pomeriggio a reperirne un’altra migliore di questa.” “Tu non puoi fare tutto questo…” Cercò di difendersi Guido, ma conosceva la risposta, che era: “Io no, certo. Non da solo. Sarà lei a convincerti.” La murena uscì dall’anfratto e si posò sulla ghiaia del fondo dell’acquario, gli occhi come minuscoli puntini neri nel giallo intenso dei suoi bulbi. “Non è una murena, vero?” Ignazio si infilò la pistola nella cintola e fece un lungo applauso a Guido. “Che perspicacia! – rise – Certo, quando si ha un cervello che funziona…” Guido non pensò neanche per un attimo di usare la fiocina che ancora teneva in mano mentre Ignazio era disarmato. Poteva piantargli un dardo in testa ma non lo fece, chissà perché. Ignazio riprese la pistola con il silenziatore e guardò la sua creatura. Appoggiò il gomito all’acquario e la sua voce era calma e controllata. “Mi sono sempre piaciuti gli animali che vivono nell’acqua. A volte li trovo assurdi, ma hanno il loro fascino, lo devi ammettere. Da bambino avevo un pesce rosso, però i pesci rossi vivono poco, forse perché sono in cattività, non saprei. Comunque, entro in questo negozio di animali solo per vedere gli acquari, niente di più. Non volevo nemmeno comprarlo, un pesce, volevo solo guardare gli acquari. Sai quella barzelletta sull’acquario e sulla logica deduttiva? Io la sapevo ma ora non la ricordo… Cazzo, no, proprio non mi viene in mente. Ricordo solo che era divertente. In ogni caso, basta vedere discovery channel per apprendere che i pesci non sono affatto muti, e non sono neanche stupidi come dicono. Ad un certo punto mi ritrovo a rispondere ad una domanda che qualcuno mi fece mentre stavo guardando l’acquario più grande del negozio, e poi risposi ad un’altra domanda. Che strano, non ricordo cosa mi avessero chiesto. E poi ad un'altra ancora. Solo che le domande non venivano dalle mie spalle. Quando mi accorsi che tutti, nel negozio, mi guardavano come si guarda un povero matto che parla da solo, mi resi conto che quella voce era nella mia testa soltanto, e non proveniva da un essere umano. E sentii anche una musica, una musica sublime che mi fece provare una gioia che non avevo mai provato prima di allora. Nessuno poteva sentirla, a parte me. E’ stato il momento più bello della mia vita. Hai visto la sua altra forma?” “Sì.” Rispose Guido sempre più sconvolto. “E’ bellissima. E reale!” “Ma allora che… chi è?” Ignazio spalancò il suo sorriso giallastro. “Non ne ho idea. – rispose – Forse era solo un mito, o forse esistevano veramente, chi può dirlo? Ed esistono anche adesso, a quanto pare. Io credo sia stata catturata e venduta perché LEI voleva essere catturata e venduta.” Guido sorrise a sua volta. “Eh, sì, mi sa proprio che sia andata così…” Ignazio fece un cenno di assenso con il capo. “Bene! – disse Guido – Io devo proprio andare. E’ stato molto istruttivo…” Ignazio tese il braccio che reggeva la pistola verso l’amico. “Tu non vai da nessuna parte. Non prima di averla ascoltata.” “Ignazio, mettiamo che io non abbia visto niente…” “Tu hai visto e tu sai. Adesso prendi una sedia e siediti davanti a lei.” “Ignazio, quella… cosa, qualunque cosa sia, ti ha fuso il cervello, ti ha mandato a puttane la testa!” “Questa Sirena è una miniera d’oro! Io le offro protezione, cibo e riparo, in cambio lei convince chiunque a fare quello che voglio io. Forse non sono un buon amico, Guido, ma non sono nemmeno un idiota. Lo so che è da pazzi, quello che sta succedendo, e non venirmi a dire che non credi a queste stronzate, perché nemmeno io credevo a queste stronzate, però credo a quello che vedo, e quello che vedo è una creatura stupenda, divina, che può farmi avere tutto! Adesso appoggia sul tavolo quella fiocina e mettiti seduto.” “Ignazio, non è controllabile come pensi!” “Metti giù quella fiocina.” “Ignazio, ascoltami! Non è il tuo giocattolo! Lei ha già cercato di uccidere anche me, e senza motivo!” “Metti giù quella fiocina del cazzo, non farmelo ripetere!” Guido, a quel punto, ebbe l’idea più folle che avesse mai partorito. Ignazio era troppo avanti nella sua pazzia, non era più recuperabile. Era inutile parlare con lui. “Che ne diresti di un acquario più grande? E piante. Dico alghe vere!” Ignazio inclinò un poco la testa. “Ma che cazzo stai dicendo?” Guido non gli diede retta. “E una tua simile. Una tua simile con cui tu possa generare altre creature simili a te. Io la cercherò, ti giuro che dedicherò tutta la mia vita a cercarla!” Solo allora Ignazio, in parte, comprese. “Tu sei un coglione! – ragliò dietro una smorfia di improvvisa paura – Lei non ti ascolta neanche per un attimo, lei è mia!” Fece per premere il grilletto ma, sotto il suo dito, gli parve durissimo, bloccato. Provò e riprovò ancora. Niente da fare. La pistola era come inceppata. Scarrellò di nuovo ma ottenne solo di far cadere un proiettile sul pavimento. Guido era davanti a lui, che parlava, ma Ignazio non poteva più sentirlo. Fu a quel punto che la vide nelle sue vere fattezze. Una creatura di pura luce e dalle armoniose forme, vestita d’oro, con i capelli biondi che scintillavano nel chiarore irreale proveniente dalle sue spalle. Uscì dall’acqua con la grazia di un gabbiano che si leva in volo. Era bellissima, era semplicemente perfetta. L’acqua le scivolava sulle spalle e sulle braccia nude, sotto l’abito d’oro si intuiva la rotondità perfetta dei suoi seni. “Ignazio…” Disse con voce musicale, una voce che sembrava provenisse dalle più ancestrali e sconosciute profondità degli oceani. “Ignazio. – e gli passò una mano vellutata sulla guancia. I suoi occhi avevano il colore dei capelli e del vestito. – Mio adorato Ignazio, se c’è una persona di cui il mondo può fare a meno, quella sei tu. Devi ammetterlo, nessuno piangerà la tua scomparsa. Non ami nessuno, nessuno ti ama. Sei solo, Ignazio, solo e odiato. Ti sarà fin troppo semplice capire come la tua morte pesi davvero poco sulle sorti di questo pianeta. Fallo, Ignazio, e ti assicuro che tutti quelli che ti conoscono saranno ben felici di spartirsi l’ossigeno che consumi.” Naturalmente, Guido non vide la bionda fatale che sussurrava ad Ignazio parole di morte. Vide solo il suo ex amico puntarsi la pistola alla tempia e sparare. Uno spruzzo di sangue e materia organica schizzò sulla parete. Ignazio cadde e si dimenò a terra per qualche istante, il suo corpo vicino a quello di Ottavio. Guido crollò a sua volta all’indietro e cercò subito di rimettersi in piedi, senza successo. La murena Helena uscì per un attimo dalle rocce del suo acquario, fece scintillare le squame gialle e tornò a nascondersi. Guido la seguì con la coda dell’occhio, respirando forte, il suo enorme sedere avrebbe fatto una certa fatica a rimettersi in piedi. Subito, prima ancora che Ignazio cadesse dopo essersi fatto saltare il cervello, si era domandato se il prezzo che aveva appena pagato valesse davvero la sua vita.

Per molti anni si chiese il perché. Avrebbe potuto ordinare ad Ignazio le stesse cose che lui le aveva offerto. Perché quell’essere che proveniva da chissà quali oscuri abissi perduti e mai più scoperti si era liberato del suo burattino? Forse, pensò mentre rincasava con la sua Nissan Micra, forse perché quella era la sua natura. Forse si stava solo divertendo, o forse aveva visto in lui qualcosa che mancava ad Ignazio. Perché, dopotutto, cos’era mai, Ignazio, se non un miserabile accattone? Un uomo che avrebbe ucciso decine di persone, facendola sempre franca, per qualche migliaia di euro? Ignazio, in definitiva, non aveva un vero scopo. Non era come lui. Guido sì che si era dato da fare. Guido, al contrario, aveva preso sul serio il suo impegno. Aveva dedicato anni a quell’unico, vitale impegno. E non gli importava se il suo salotto, a stento, conteneva l’immenso acquario che aveva fatto costruire per la sua nuova ospite. Un acquario con scogli veri, alghe, piante marine, luci verdi e blu che lo rendevano ancora più pittoresco, un acquario davanti al quale Guido passava la maggior parte del suo tempo, giorno dopo giorno, notte dopo notte, nella sua ormai eterna contemplazione della cosa più bella che avesse mai visto. Nessuno lo avrebbe portato via da lì. Non avrebbe mai più visto una bellezza del genere in tutta la sua vita. Quella sera era emozionato come un bambino. Una volta in casa, si avvicinò all’acquario nascondendo un oggetto misterioso dietro la schiena. La creatura di qualche remota profondità, come sempre, uscì dalla sua piccola caverna, e i suoi occhi erano immobili, gialli, freddi come le acque tenebrose nelle quali aveva passato chissà quanti millenni, in silenziosa attesa. Guido trattenne una risatina isterica. Scoprì l’oggetto che teneva dietro la schiena. Una scatola di plastica di grandi dimensioni con il manico. Da come la maneggiava, sembrava che pesasse parecchio. Picchiettò sul vetro con un dito. Era pazzo di gioia, lo sapeva, lo sentiva nel cuore. Anche se, probabilmente, quella era l’ultima cosa che si accingeva a fare. O una delle ultime. Mostrò alla murena la grande scatola di plastica che ondeggiava nelle sue mani, come se il peso, al suo interno, si muovesse. “L’ho trovato!” Sussurrò con tutta la gioia che poteva provare, con la gioia più grande che avrebbe mai provato.

Carlo Baroni