
La guerra nella ex Jugoslavia ha rappresentato certamente uno dei più atroci conflitti dalla fine della Seconda Guerra mondiale creando ripercussioni anche al di fuori dei confini della stessa.
Il dissolvimento di uno degli stati più potenti del Vecchio continente ha provocato la polverizzazione di quel blocco neutrale che si contrapponeva all’influenza occidentale da una parte ed a quella sovietica dall’altra, procurando migliaia di morti, profughi ed aberrazioni di ogni genere. Tutti contro tutti in una escalation di violenza senza eguali.
Di questo come di altro si parla nel libro di Misho Loncarevic, Balcanoides (Ed.Melagrana, p.p. 248) dove si intrecciano, come facce di una stessa medaglia, le storie di tre giovani appartenenti ad etnie diverse, divenuti insieme ufficiali militari e amici, sullo sfondo dei tragici avvenimenti che portarono alla dissoluzione della ex-Jugolsavia.
Loncarevic narra delle vicende balcaniche attraverso un tentativo per molti azzardato ma in realtà perfettamente riuscito, ossia con il linguaggio della pace nel suo fluire scorrevole e dinamico, in un turbinio di emozioni forti raccontando storie, fatti e dettagli ma indulgendo sempre e comunque alla tolleranza tra popoli di diverse etnie.
Consapevole dell’importanza di una narrazione che ci porta a ritroso nel tentativo di comprendere, l’autore ci conduce per mano con uno stile asciutto e senza fronzoli, ripercorrendo una serie di emozioni, di eventi, di storie, di confessioni, di biografie, di lettere, in un insieme di esperienze provenienti dalla guerra che misurano in tempo reale i valori umani e quelli della pace, seguendone la metamorfosi e l’evoluzione durante il conflitto.
“Ho voluto narrare questi fatti partendo dall’ideale comune di questi tre amici a difesa della pace nella nazione” afferma Loncarevic “ mentre quasi a loro insaputa si preparava il dissolvimento sotto la spinta della voglia di rivalsa e di indipendenza delle singole etnie”.
“ I giovani protagonisti” prosegue “vengono travolti loro malgrado dall’evoluzione degli eventi: politici che parlano il linguaggio delle armi e della persecuzione, cittadini in balia delle manipolazioni mediatiche, il resto del mondo che assiste allo spettacolo come ad una prima teatrale. Essi si rendono conto amaramente e dolorosamente di essere stati parte di un sistema che ha invalidato le capacità dell’intelligenza dell’uomo ed ognuno cerca e subisce la propria metamorfosi, che rappresenta un differente significato per ognuno: la sopravvivenza nel sistema, il mantenimento del potere, l’affermazione dell’emancipazione dell’uomo”.
Una lettura dunque assolutamente realistica di una realtà sconvolta dalla barbarie umana, una rassegna della vita e della propaganda dei personaggi che hanno sconvolto la vita di milioni di persone e riportato la storia della civiltà europea alla barbarie, alla ferocia della pulizia etnica.
Non manca tuttavia una riflessione continua sulla necessità del dialogo tra uomini e nazioni, sul rispetto e la tolleranza tra le diversità, sulla “sorveglianza” continua e fraterna tra le civiltà perché non si ripropongano più gli spettri del passato.
Ed alla base di tutto c’è la paura, quella di non sopravvivere, che ti induce ad aggrapparti a tutto, anche allo scorrere lento del tempo, pur di dare un senso all’assurdo.
“In guerra il tempo si misura tramite le diverse emozioni” ci dice l’autore “ soprattutto della paura ed allora tutto diventa relativo ed esso sembra irrimediabilmente fermarsi . La famiglia è l’ unica ancora di salvezza ed una semplice lettera può rappresentare la speranza di una rinascita futura”.
Un capitolo a parte è dedicato al ruolo delle donne durante il conflitto, legate da una solidarietà unica che dovrebbe far riflettere.
Mogli e figlie che vivono insieme attimi di profonda angoscia e paura per i loro cari al fronte che semmai combattono l’uno contro l’altro ma decise a superare diffidenze e ostilità, che condividono le notizie avute dai loro mariti.
O di tutte quelle donne direttamente impegnate sul campo di battaglia (una giornalista, una maestra, una atleta promessa olimpionica che poteva essere portata fuori dall’ inferno e che invece per amor di patria ha deciso di restare) o di tutti coloro i quali hanno fatto del mimetismo umano l’unico mezzo per sopravvivere adattandosi.
Il tutto senza accondiscendere al sensazionalismo morboso del sangue che l’autore tiene sapientemente ai margini perché convinto che “la ripetizione quotidiana dell’atrocità della guerra non porterebbe, in futuro, alla diminuzione e magari all’eliminazione totale di quei colori terribili”.
“Ho combattuto contro l’ armata serba (dove durante la guerra stavano i miei genitori) e quella della Croazia (dove dopo il primo anno di guerra si trovavano mia moglie e mio figlio) subendo varie pressioni per lasciare l’Armata Bosniaca. Ancora oggi sono convinto di aver fatto la giusta scelta e lo rifarei” aggiunge.
Una guerra senza codici, dove l’artiglieria sparava sui cittadini innocenti, spesso usati come scudi umani dalle milizie paramilitari, senza distinzioni di sorta e senza alcuna etica o regola di ingaggio ma solo mossa dal putridume dell’umana viltà.
Quanto ai motivi che scatenarono l’inizio delle ostilità, Loncarevic svolge un’analisi molto chiara e razionale adducendone l’avvio non tanto alla politica o alla religione quanto, piuttosto, alla costituzione dei primi gruppi paramilitari, aiutati economicamente e militarmente da poteri esterni.
Ed aggiunge : “Fu creata l’illusione di poter continuare da soli creando nuovi stati basati sull’ unita nazionale e religiosa che in Bosnia fu raggiungibile esclusivamente tramite la pulizia etnica”.
Infine un accenno all’attuale situazione. L’autore non sembra molto fiducioso su una evoluzione positiva della stessa.
“Oggi la Bosnia, composta da varie unità statali, dopo tanto sangue, dopo aver subito un genocidio, dopo tanti altri crimini di guerra non vive un momento felice” sottolinea aggiungendo che “ogni popolo ricorda la sua tragica storia recente versando nuovo odio verso gli altri. Così le nuove generazioni crescono sotto una pioggia di odio verso il vicino. Il futuro sarà triste , pieno di nuovi muri perché valutare insieme il passato recente non è possibile a causa della divisione anche tra i giovani sin dalla scuola”.
Un atto d’amore, dunque, verso la propria terra quella di Loncarevic, ancora falcidiata da rancori millenari,con l’auspicio di una nuova equità e di una nuova solidarietà utile affinchè si possano ritrovare pace e giustizia tra i popoli e non perpetrare mai più massacri in virtù di ragioni etniche, politiche o religiose.
L’Autore: Misho Loncarevic, ufficiale superiore dei servizi segreti dell’Armata Popolare Jugoslava e del settore morale di guerra dell’Armata Bosniaca di stanza a Sarajevo con il grado di colonnello. Si congeda nel Maggio 94 per motivi di famiglia. Attualmente ricopre la carica di Presidente del Cad Bosnia (Centri di prevenzione e di Ascolto del Disagio nel Mondo) e si occupa della promozione e distribuzione di testi scolastici.