Schiere di fan in tutto il mondo riveriscono Dario Argento (o quanto meno l’Argento d’antan) come maestro del cinema del terrore. Tuttavia, da anni sbeffeggiare le sue produzioni recenti è diventata una pratica diffusa adottata da tanti critici e appassionati della settima arte. Non stupiscono i giudizi impietosi riservati a opere a volte assai modeste, ma è strano che lo stesso trattamento non sia offerto a registi “intoccabili” come ad esempio il compianto Lucio Fulci, ormai assurti allo status di cineasti di culto.
La fretta di rivalutare a priori il cinema di genere nostrano, deve aver fatto dimenticare che Fulci, autore nel campo del thriller horror di numerosi film memorabili (citiamo almeno “Non si sevizia un paperino”, “Zombi 2”, “E tu vivrai nel terrore! L’Aldilà”, “Quella villa accanto al cimitero”) ha diretto anche pellicole difficilmente difendibili quali “Quando Alice ruppe lo specchio”, “Demonia”, “Un gatto nel cervello”. Anche quelle, riscoperte e incensate con acrobazie verbali e sofismi sorprendenti.
Simile atteggiamento prevenuto è stato riservato anche all’autobiografia di Dario Argento, con qualche recensione graffiante che non si è spinta oltre il sottolineare quanto Argento, figlio dei proprietari di un importante studio fotografico romano, frequentato dalle celebrità del cinema, abbia avuto la strada spianata nella sua carriera.
Per chi apprezza o per chi in passato ha apprezzato il regista, “Paura” è un libro intrigante, in cui gli aneddoti autobiografici sono sempre funzionali alla narrazione di una vita segnata da travolgente e tenace passione per il cinema.
Molte le chicche del testo: la capacità di Argento di utilizzare suggestioni, scorci, o ambienti che lo colpiscono; lui li “introietta”, li fissa nella memoria e, magari anche a distanza di anni, trova il modo di usarli costruendoci atmosfere o innestandoli in una sequenza di un film; il desiderio cinefilo di tributare omaggi ad alcune star del cinema di una volta, offrendo loro cammei nelle sue pellicole; la lucidità e la lungimiranza della messa in scena e della meccanica degli omicidi (intuizione del soggettista Bernardino Zapponi per “Profondo rosso”: “Disse che avremmo dovuto trovare soluzioni che il pubblico potesse comprendere dal punto di vista fisico, in modo immediato. Pochi spettatori possono sapere quali sensazioni dà un proiettile in pieno petto, o un coltello nello stomaco, ma il dolore provato sbattendo la testa, oppure ferendosi con uno spigolo acuminato, o ancora scottandosi con l’acqua bollente — erano tutte esperienze che chiunque avrebbe potuto ricondurre al proprio vissuto”).
Interessanti anche gli escamotage adottati per aggirare l’odiosa censura, ad esempio in “Suspiria”: “Appresi che in Germania era vietato girare un film con delle attrici minorenni… fui costretto ad alzare l’età delle giovani ballerine, che avrebbero avuto all’incirca fra i diciotto e i ventun anni, ma mantenni comunque degli elementi (nella scenografia e nel racconto vero e proprio) capaci di suggerire il fatto che i personaggi fossero molto più piccoli. Chiesi alle attrici di comportarsi come delle bambine, di battibeccare e farsi i dispetti davanti all’obiettivo, e scrissi alcune battute con un linguaggio volutamente infantile. Infine, ricorsi a un espediente che distorcesse la percezione del pubblico: per le scene ambientate nell’accademia di danza, feci costruire delle porte più grandi di quelle standard, con delle maniglie collocate molto in alto rispetto al normale. In questo modo, il punto di vista sarebbe stato quello di un bambino”.
Argento riporta aneddoti, non risparmia dettagli, cita le fonti da cui ha tratto ispirazione e dedica parecchie pagine soprattutto alle sue opere più riuscite; nondimeno, chi cerca spiegazioni a chissà quali sequenze dovrà rivolgersi altrove (i saggi sul regista non mancano). I fan, e chi, come il sottoscritto, ritiene doveroso tenere in palmo di mano il regista anche solo in quanto autore di gioielli come “L’uccello dalle piume di cristallo”, “Profondo rosso”, “Suspiria” e “Inferno”, saranno sicuramente soddisfatti. I passi falsi e gli scivoloni non sono mancati nella sua carriera, ma almeno i titoli sopracitati (ne aggiungeremmo altri) mantengono intatti il loro fascino morboso e inquietante e la loro forza visionaria.