“Trame.5” ricorda Giancarlo Siani

20/06/2015

“Marco era venuto a casa nostra e voleva vedere gli abiti di Giancarlo. Voleva toccarli e capire chi era. Con lui mia madre parlava di Giancarlo al presente come se fosse ancora vivo”. Così Paolo Siani, fratello del ventiseienne giornalista de “Il Mattino” ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985, racconta il momento in cui il regista Marco Risi conobbe la madre del giovane cronista prima di girare il film “Fortapàsc” (2009). 
A distanza di trent’anni dalla morte di Giancarlo, Paolo Siani, intervistato dalla giornalista Luisella Costamagna, traccia un ricordo del fratello in occasione di “Trame.5”, la quinta edizione del Festival dei libri sulle mafie in corso a Lamezia Terme. E lo fa partendo proprio da un aneddoto legato alla realizzazione del film di Risi. 
Complicità e silenzi. Tradimenti e connivenze. Binomi che hanno reso sempre più difficile fare luce sull’omicidio di un “giornalista giornalista”, definizione che, in “Fortapàsc, il caporedattore del giovane Siani utilizza per distinguere i veri giornalisti da quelli che scelgono di essere semplici impiegati al servizio dei poteri forti. “Io ho scelto di essere solo un giornalista”, dice il caporedattore che consiglia al troppo intraprendente e scomodo Giancarlo di fare lo stesso. Un personaggio che non è piaciuto a chi si è sentito chiamato in causa. A chi ha pensato che quella finzione cinematografica facesse riferimento alla sua realtà. A chi ha chiesto allora il ritiro del film. Paolo Siani racconta rammaricato questo retroscena. “Provate a immaginare – dice rivolto al pubblico - un collega di Giancarlo che si scaglia contro il film girato in suo onore perché si sente denigrato dal personaggio che crede lo rappresenti nella parte del cattivo. Addirittura porta avanti una causa. Ma alla fine la perde”.

Nonostante ci siano voluti undici anni per avere giustizia, Paolo Siani si dice finalmente sereno e in possesso di una verità che è stata certificata in Cassazione con nove ergastoli. “Forse, anzi sicuramente, resta da capire ancora molto sulla vicenda, la cui ingiustizia e cattiveria mi hanno segnato per tutti questi anni. Molte zone oscure legate al rapporto tra politica e criminalità organizzata rimangono ancora più oscure, ma dopo undici anni è complicato per un’inchiesta fare chiarezza”.
“E oggi – gli domanda Luisella Costamagna – ci sono più ‘giornalisti giornalisti’ o giornalisti sudditi e conniventi”? Paolo Siani non ha dubbi. “Come Giancarlo – risponde – conosco tanti ragazzi. Non parlo dei capi servizio o dei direttori dei giornali, ma dei giovani cronisti che vivono tra la gente e cercano di raccontare, come faceva lui, la verità”. “Scarpinare” per strada. Così i cronisti dell’epoca, quando internet e smartphone non erano ancora all’ordine del giorno, andavano alla ricerca di notizie. Giancarlo lo faceva a bordo della sua Méhari verde. L’autovettura è stata allestita all’esterno del chiostro San Domenico, uno dei punti di ritrovo del Festival di Lamezia Terme, ed è il simbolo di questa quinta edizione. “Sono salito spesso su quella Méhari – racconta Paolo - Per me è una macchina felice, legata ai ricordi di giri spensierati fatti con Giancarlo”. Ma all’interno di quella stessa macchina il cronista de “Il Mattino” è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco all’età di ventisei anni. Un giornalista ancora abusivo ma già colpevole di essere “giornalista giornalista”.

Roberta Cordisco