Storie del Necronomicon

13/04/2016

Chi commissionò al pittore Ben Yokhai nel 1893 il misterioso dipinto che nel corso del tempo si è guadagnato una fama fra le più sinistre? Qual è il contenuto innominabile del diario rinvenuto accanto al corpo senza vita dello scrittore Robert Ervin Howard nel giugno del 1936? E, infine, cosa ha scoperto di tanto spaventoso il giornalista Jack Shepherd? Queste e altre domande troveranno risposta nelle pagine di “Storie del Necronomicon” di Max Gobbo, romanziere e curatore della sezione di narrativa della rivista antimoderna “Antarès”.

“Ne ha fatta di strada il Necronomicon [...]”, con queste parole Gianfranco de Turris, che firma la presentazione del testo, sottolinea la “immortalità” di quello che è comunemente conosciuto anche come il “Libro dei morti”. Su di esso si è scritto praticamente di tutto, dalle ricerche più o meno qualificate, alle leggende metropolitane che lo vedono talvolta persino custodito negli archivi segreti del Vaticano! Fatto sta, che un po' di precisione va ristabilita. Non un libro di magia, non un testo per risvegliare antichi poteri; il “Necronomicon” non esiste, è il frutto della fantasia di un grande autore. Il primo riferimento al “Necronomicon” apparve nel racconto di Howard Phillips Lovecraft (o HPL per la critica di settore, 1890 – 1937) “La città senza nome” (1921). Da quel momento, ciò che era pura finzione prese vita, divenendo un potentissimo tòpos letterario. Questo fantomatico grimorio ha generato i proverbiali fiumi d'inchiostro, travalicando la figura delle stesso Lovecraft.

La domanda che si impone è la seguente: qual è la utilità dell'ennesimo scritto sul “Necronomicon”? Francamente tutte e nessuna; dipende dalla qualità della singola opera e, nel caso di Gobbo, questa non manca. Trattasi di un romanzo assai atipico, fatto di intrecci ed esperimenti strutturali, dove riecheggia potentemente lo stile del Maestro – insieme al critico cinematografico, e amante di Lovecraft, Antonio Tentori aborriamo l'abusato appellativo di “Solitario” – di Providence: “I più audaci sussurrano che nelle notti buie, quando le stelle stesse sembrano oscurarsi, dalla cantina del suo negozio giungono dei lamenti terribili da far raggelare il sangue nelle vene” (11). L'incipit con cui Gobbo dà il là alla sua storia è davvero lovecraftiano nel senso più intimo del termine. Difatti, proprio così il grande scrittore del New England soleva spesso cominciare i suoi incubi letterari.

Il lettore avrà l'occasione di confrontarsi con una continua scatola cinese, quasi vittima di se stessa nell'essere un vortice metaletterario: “Al mio caro Howard, auguri di buon compleanno” (16). Un incessante rimando, dunque, all'interno dello stesso mondo dell'horror, dove il soggetto narrato diventa pseudo-autore, in virtù della presenza dei vari nomi citati, non solo quello di HPL e del suo grande amico R. E. Howard, ma pure quello del “maestro” di Lovecraft: E. A . Poe (William Wilson).

Il ritorno di questo “pseudobiblium”, come ricorda sempre de Turris, richiamando il sapiente neologismo di Lyon Sprague de Camp, non smette mai di suscitare attrattiva e turbamento, solleticare la più morbosa delle curiosità. Sin qui non ci sarebbe nulla di nuovo. Però, l'opera di Gobbo ha la struttura dalla sua parte, che la rende “utile” per un argomento che sembrerebbe perennemente liso e che, al contrario, si presta a continue interpretazioni. Diari, finti articoli di giornale, “intromissioni” narrative; “Storie del Necronomicon” è un romanzo ben poco italiano – in questo sarebbe piaciuto a Italo Calvino e alla sua mania combinatoria – che ci ricorda un autentico capolavoro della letteratura inglese colpevolmente ignorato dalle cattedre nostrane: “Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo” (1759 –1767) di Laurence Sterne.
In breve, sembra proprio che il “più esecrato dei libri” continui a essere puntualmente oggetto di interesse di giornalisti e studiosi, i quali, come avviene nel testo di Gobbo, si confondono tra reali e immaginari. La piacevole novità è che in questo romanzo si riprende saggiamente a sperimentare in letteratura.

Storie del Necronomicon
Max Gobbo
Tabula fati
2016

Riccardo Rosati