Vittorio Emiliani
Lo sfascio del Belpaese
Beni culturali e paesaggio
da Berlusconi a Renzi
Solfanelli, Chieti, 2017
Le riflessioni che Vittorio Emiliani raccoglie nel libro Lo sfascio del Belpaese. Beni culturali e paesaggio da Berlusconi a Renzi sono una puntuale cronaca di un autentico suicidio culturale, quello del Patrimonio Italiano. Il linguaggio veloce, essenziale e preciso di Emiliani ci convince continuamente di quanto egli sia oggi l'unico cronista dei Beni Culturali nel nostro sciagurato Paese. Il testo esce per i tipi di Solfanelli, un Editore che mostra una spiccata sensibilità per una materia come la museologia-Beni Culturali, che in Italia interessa sfortunatamente a pochi. Un disinteresse che ha portato al “suicidio” di cui parla l'autore, giacché, per quanto negletto, rimane il dato incontrovertibile che il nostro Patrimonio Universale non abbia eguali in tutti i settori, dalle collezioni orientali, per arrivare a quelle scientifiche.
Emiliani afferma, giustamente, che stiamo assistendo a un “tradimento”, quotidiano ormai, dell'Articolo 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Dove e Quando? Chiede lui, e non possiamo dargli torto; quelle del suddetto Articolo sono belle parole impresse su carta, ma mai rispettate.
Un libro costruito su fatti, cifre, notizie che diventano di per sé polemica; come detto “giornalistico”, ma nel senso alto del termine. Apprezziamo questa umiltà in Emiliani, il quale sostiene di essere “solo” un cronista, per quanto attento come pochi in questo settore. Decisamente più elegante la sua sincerità se paragonata alla posa di quei professori, verso i quali egli mostra comunque una certa stima, che invece pubblicano articoli su articoli per autocelebrarsi, sebbene di sostanza, di narrazione di fatti e di denunce non vi sia spesso traccia. Ecco che ne Lo sfascio del Belpaese si raccontano gli assalti ai paesaggi italiani (tanti da Nord a Sud, sempre straordinari), riempiti di cemento e di asfalto.
Un altro merito di Emiliani sta nel suo opporsi a qualsivoglia difesa di categoria, descrivendo ciò che stampa e TV sovente tacciono: “Una spessa coltre di silenzio, quasi di omertà, è calata sui Beni Culturali e Paesaggistici. Se ne parla soltanto per sottolineare incurie e ritardi burocratici (di una burocrazia indistinta peraltro) o per esaltare acriticamente le 'imprese' del ministro Dario Franceschini e del governo di Matteo Renzi che, detestando apertamente le Soprintendenze di ogni genere, le ha promosse portando allo sfascio la rete della tutela.”, se questo non è coraggio, allora cosa altro?
Egli non è poi privo di una sana dose di imparzialità politica, come quando riconosce i meriti del fascismo in ambito di Tutela, parlando di Giuseppe Bottai come: “uno dei ministri della Cultura più acuti e meglio circondati (fra i suoi collaboratori i giovani storici dell’arte Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi)”. Inoltre, da orientalisti non possiamo che plaudere alla sua denuncia sul futuro, e appare ormai inesorabile, spostamento del Museo Nazionale d'Arte Orientale “Giuseppe Tucci”, dalla superba sede di Palazzo Brancaccio – ultimo edificio nobiliare costruito a Roma – all'Archivio di Stato all'EUR. Emiliani stigmatizza questa folle idea, nel voler restringere due Istituti che dovrebbero, per converso, espandersi e non, come nelle intenzioni di Franceschini, comprimersi, con la scusa ridicola, se non grottesca, di risparmiare sull'affitto del palazzo sito in via Merulana. Invero, l'autore ricorda che nella sua attuale sede, il Museo dispone ancora di oltre 4800 metri quadrati e che gli stessi sono stati donati al Campidoglio dalla Principessa Fernanda Brancaccio, deceduta alla veneranda età di 107 anni. Uno spazio, questo, che permetterebbe il logico ampliamento di quello che è il più ricco e importante museo orientale d'Occidente – a dispetto di quello che dicono i sempre tronfi francesi del loro Guimet – solo che molto, troppo è conservato in depositi stracolmi. Per non parlare del fatto che numerosi addetti ai lavori ignorano la preziosità di questo museo, ma non è certo il caso di Emiliani!
“Sulla stampa e nelle TV italiane dove tanti sono ormai i trombettieri e pochi gli spiriti critici”, così l'autore incalza nelle sue conclusioni, accusando i suoi colleghi di essersi accodati alla Dottrina Renziana dell'assenso. Un volume prezioso, da leggere per chiunque abbia voglia di far scendere il Velo di Maya sulle infelici decisioni di Franceschini. Emiliani ci mette la faccia, pagina dopo pagina, non risparmiando nulla al Ministro. Se i giornalisti fossero così anche quando trattano di politica, ebbene il nostro non sarebbe “un Paese allo sfascio”.