Non è facile trovare un nuovo approcio per analizzare la personalità e il cinema di un Maestro come Stanley Kubrick. Giorgio Penzo - con la collaborazione di Marco Penzo, autore di alcuni approfondimenti “dietro le quinte” - decide di non arrampicarsi sugli specchi, ma di presentare semplicemente delle schede critiche di ogni suo film, suggerendo un fil rouge che colleghi l’eclettica produzione del regista americano (ma transfuga in Inghilterra).
Questo comune denominatore è la tendenza dell'uomo a disumanizzarsi. Buoni o cattivi, trascinati dalle passioni o dall'arrivismo, vittime della guerra o di forze oscure, i personaggi kubrickiani finiscono sempre col cadere, travolti dalla follia che li circonda.
Lo sguardo di Kubrick è sempre distaccato, ma è un distacco da fotografo (la sua prima professione e passione), che osserva dietro ad una lente, ma che non manca mai di denunciare questa bestialità: anche se per operare tale denuncia spesso ricorre alle armi del grottesco. Il gusto particolare del regista, che lo spinge ad affrontare quasi tutti i possibili “generi” cinematografici (guerra, noir, peplum, commedia, fantascienza, horror, melodramma erotico), non è mera esibizione di talento visionario, ma serve a rafforzare la sua cinica considerazione sull'uomo, che altri non è che una marionetta in mano al destino.
Di rapida e facile lettura, ricco di immagini e completo nel suo excursus, il volume dei Penzo ha il solo difetto di non presentare delle schede tecniche puntuali, ma di limitarsi a proporre le “recensioni” in ordine cronologico. Del resto lo scopo non è enciclopedico, bensì quello di presentare le pellicole dal punto di vista di una lettura filosofica d'insieme dell'opus di Kubrick, che ha chiari e ripetuti agganci col pensiero di Nietzsche. La lettura filosofica va tenuta presente anche proprio nella ricerca dei punti di contatto tra i vari film, ricerca che si basa appunto sui contenuti e non sulle forme (le inquadrature, l'utilizzo della musica, i movimenti di macchina, i tagli di montaggio che ricorrono di opera in opera). Come nel cinema di Orson Welles, Giorgio Penzo aveva individuato una matrice kafkiana, qui dunque sembra prevalere una visione nietzschiana, ma assai più rielaborata dalle profonde convinzioni personali del regista, un autore che , dai primi cortometraggi alle ultime sceneggiature, non ha mai smesso di meditare sulla forza abissale del fato.