L'Italia è probabilmente il Paese più ricco di reperti storico-archeologici e di collezioni museali. Pinacoteche, musei storici, case natali di artisti, collezioni particolari: non c'è un solo paese della penisola che non abbia qualcosa. La domanda da porsi è: ma tutto questo patrimonio storico-artistico è gestito e conosciuto a dovere? Purtroppo la risposta è che no, malauguratamente vi è molta incuria e disinformazione al riguardo, e i nostri beni culturali restano troppo negletti, vuoi per mancanza di fondi, vuoi per un vizio politico-culturale che ci vede succubi delle mode e degli stranieri, tant'è che gli italiani spesso ignorano o disprezzano ciò che hanno a casa loro e si precipitano ad affollare i musei esteri, mentre collezioni interessanti quanto vaste giacciono nei magazzini o affastellate in musei mal tenuti, con orari di visita impossibili: sembra quasi che per poter valorizzare ciò che abbiamo dovremmo mandare i vari pezzi in esposizione in mostre itineranti alla moda.
Riccardo Rosati da anni, attraverso le pagine di diverse riviste specializzate, oltre che dal nostro sito, sta intraprendendo una battaglia, appassionata e giustamente polemica, per far conoscere i musei e le collezioni che più meritano attenzione.
La bellezza antimoderna – Riflessioni e denunce (ed. Solfanelli), è una pubblicazione che raccoglie i suoi scritti tra il 2014 e il 2016 e che non vuole trattare unicamente, come nei suoi pezzi per “Il Borghese”, di museologia, ma schierarsi (è il termine usato dallo stesso Rosati nell'introduzione) completamente dalla parte della Bello. Ma perché questa bellezza è “antimoderna”? Perché l'altro valore che l'autore difende strenuamente è quello della Tradizione: il Museo è dunque da intendersi come il custode della memoria, dell'anima di un popolo, e il non saperlo valorizzare o l'accodarsi alle mode del momento, addirittura il “rimuovere” certi contenuti in una sorta di damnatio memoriae, è un crimine.
Il volume porta avanti la sua battaglia estetica e morale seguendo dei macrotemi (museologia, un excursus sui musei più amati, l'attualità dei beni culturali, e una serie di aricoli su mostre particolari) e da qui apre numerosi capitoli. Se la prima tentazione per il lettore è di prendere un notes e segnarsi i nomi di quei Musei (collezioni permanenti) che più l'attraggono – e il Rosati ci dà numerosissimi spunti, dai musei delle armi a quelli dei balocchi, dal Museo delle Arti Decorative di Padova a quello di Antropolgia di Firenze, dal Palazzo Bagatti-Valsecchi al Vittoriale, dal Museo Diocesano di Vicenza a quello della musica di Casa Scelsi a Roma – si fa subito chiaro che la raccolta non è un vademecum, seppure pregevole, ma un doloroso J'accuse verso quel Pensiero Unico che vuole rimuovere il passato e il senso “inutile” del bello. Se andiamo all'estero sentiamo tutti ammirati nei confronti delle nostre città storiche e delle nostre opere d'arte, mentre noi quasi ce ne vergognamo e le denigriamo! I governi appena passati non hanno fatto che raccontare bugie ed essersi autocelebrati, lasciando i Beni Culturali sempre più scoperti di fondi e di uomini, mentre i vari Renzi si riempivano di parole e foto promozionali. Ma un vero rilancio della cultura passa non attraverso i proclami e gli spot turistici, bensì attraverso un'attenta educazione verso i valori di fondo. Quei valori che attualmente sembrano mancare per una precisa volontà che addirittura ricorre subdolamente alla censura anziché alla valorizzazione del nostro passato.
Dunque Rosati ci propone una lettura sul tema dei Beni Culturali in Italia che tocca sia il piano estetico, sia quello più attentamente museologico, sia da un punto di vista “politico” contro il nichilismo delle lobby internazionali. Un libro cha fa riflettere e arrabbiare e che pertanto si rivela necessario.