L'Anita di Elkann

05/03/2019

Chi è "Anita"? Nel caso di Alain Elkann, una figura protagonista della sua vita vissuta, ritratta tra sogno e realtà, così come narrata nel suo ultimo libro dal titolo omonimo, Ed. Bompiani 2019, presentato a Roma il 14 febbraio scorso all'interno degli spazi dell'Associazione Civita presso la sede di Piazza Venezia. Poi, c'è lui, Misha, figlio di un notissimo religioso ebreo che vive un rapporto intenso di amore-odio nei confronti della figura paterna, troppo importante, così lontana e assente per non voler a ogni costo stargli accanto per l'eternità, nella stessa sepoltura e nella stessa tomba di Montparnasse a Parigi, in modo da poter stabilire finalmente con lui un dialogo infinito. Vissuto randagio, nelle mani di fredde e rigide istitutrici, Misha come molti pellegrini senza una vera patria ha girovagato sulle sparse membra di questa terra, a New York, Parigi, Torino, Gerusalemme, Tel Aviv e anche altrove. In quel suo vagabondare ricco di donne, mogli e figli,  incontra a tarda età l'amore della sua vita: Anita, appunto. Se ne innamora così tanto, che vorrebbe costruirsi una macchina del tempo in modo da  conoscerla ancora giovane, farci almeno tre figli e amarla come nessuno ha mai amato una donna.

 Intanto, però, la loro vita adulta in comune si arricchisce a dismisura nella convivenza di problemi dei figli già grandi, di amicizie che l'uno va ereditando dall'altra, ricamate o imbastite come merletti fini da personalità estroverse, capricciose, mutevoli e folli. Eppure, così simbiotiche da lasciare un vuoto terribile quando vengono a mancare prima del tempo, distrutte da vizi coltivati con ossessività fino a farli marcire. In questo semiparadiso in terra, però, si insinua un tarlo gigantesco, destinato a divaricare come un forcipe l'utero di quell'amore così vero, unico, mettendo al mondo un mostriciattolo che lo divorerà dall'interno, come farebbe un ragno che si nutre delle viscere degli insetti rimasti prigionieri nella sua tela di lucido acciaio setoso. Per quanto possa sembrare strano e paradossale, il pomo della discordia è il trattamento post-mortem delle loro spoglie mortali. L'uno vuole essere seppellito per intero in una tomba possibilmente di famiglia; l'altra invece è assolutamente determinata a farsi cremare. E una discussione che sembrerebbe così tanto banale arriva in modo inatteso a farsi pregnante nel loro rapporto, un vero dominus perturbativo della relazione di coppia.

È l'Autore stesso a chiarire questo aspetto fondamentale nel corso della presentazione del suo libro: "Anita è una meditazione sull'esistenza dove si racconta di uno strano derby all’interno di amori che arrivano oltre la metà della vita: si appronta così una narrazione che intende rappresentare l’utilità di chi vuole con un’unione tardiva mettere in gioco anche tutto ciò che si è vissuto separatamente". Naturale, forse, quando appunto due amanti si incontrano in età avanzata. La questione di cui i due dibattono fino allo stremo (e che causerà la fine della loro relazione) è: "Che cosa fare, decidendolo in vita, della propria spoglia mortale dopo il trapasso? Anita è per la cremazione perché, dice, le ceneri sono più democratiche: si possono dividere in due mucchietti uguali, ad es., tra il marito e l’amante. E, poi, è possibile tenerle in casa per farci compagnia mentre stiriamo. Nel frattempo, Misha, compagno di Anita, deve vedersela con la sorella che eredita dalla madre l'usufrutto della tomba di famiglia, da cui lui si sente pertanto estromesso, venendogli così a mancare anche quella sua programmata dimora finale. La Morte è un’idea, un accadimento inevitabile e molto concreto con cui fare i conti". Purché il dilemma "ceneri sì, ceneri no" non giunga al punto irreversibile di far fuggire per sempre l'amore unico e vero della propria vita!

Secondo la critica Elisabetta Rasy (che, in passato, ha lavorato assieme a Elkann in una rivista letteraria in cui ogni numero riportava un tema, poi sviluppato autonomamente dai singoli autori), ospite illustre della presentazione, Anita è un personaggio dal quale prendere spunto per parlare attivamente delle problematiche del post-mortem (trattate in maniera quasi allegra da Elkann), raccontate però attraverso la pregnanza della vita e dei vissuti. In pratica, i libri di Alain, il cui motto è "vivere per raccontare (ovvero, scrivere) e viceversa", costituiscono secondo la Rasy i capitoli di un’azione complessiva. E qui si tratta di un'opera concepita non per parlare del tempo perduto ma di quello che scorre all'interno di una vita decisamente romanzesca come quella di Elkann, così ricca di vicende pubbliche e private. Nel suo albero genealogico si riscontrano un padre francese con incarichi nel Mondo ebraico e una madre italiana radicata nella storia di Torino. Lui, l'Autore, si racconta in diretta come un bambino   che, vivendo come un nomade, "non fu rassicurato al tempo dovuto". Per questo, forse, "i miei figli e nipoti, che ho cercato di non tradire mai, sono la spina dorsale della mia vita".

Per Elkann, infatti, le relazioni sono da subito legate alla famiglia parentale e a quella amicale. A proposito di radici familiari, Elisabetta Rasy, volendo aggiungere una nota di colore dalla sua esperienza professionale, cita l’aneddoto dello scrittore israeliano Abraham "Boolie" Yehoshua che, nel corso della presentazione di un suo libro, a seguito dell'intervento di una persona del pubblico, rifiutò sdegnosamente e con veemenza "la comparazione a quel verme" di Woody Allen a proposito di "famiglia ebraica". Al contrario di quanto fa Elkann, che intende idealizzare la figura ebraica del patriarca proprio perché ormai la società non lo consente. Nel libro entra in scena una folla di personaggi e di figure eccentriche e romanzesche che si mescolano in una grande quantità di incontri e di luoghi in cui questi avvengono, ben noti dall’autore: isole greche; Montparnasse a Parigi; New York; etc.. Ma alla fine si arriva sempre a Tel Aviv e Gerusalemme. "Sembrerebbe, dice la Rasy, che Anita chieda a Misha stabilità invitandolo a rinunciare alla sua volatilità cosmopolita, malgrado sia chiaro come lui aspiri alla tomba a Montparnasse mentre lei desidera diventare cenere. Ma questa tra di loro è tutt'altro che una discussione teorica!".

Anche l'altro critico letterario che affianca la Rasy, Paolo di Paolo, vede nel suggerimento del libro molti riferimenti alla storia dell'uomo: una tradizione funeraria, cioè, che si allunga fino noi partendo dall'epoca degli egizi che si interrogavano da vivi su come, una volta defunti, dovevano essere misurati il ruolo e il prestigio da loro goduti in vita. Un modo per farlo era di stabilire e codificare prima del trapasso le pratiche che i loro esecutori testamentari avrebbero poi dovuto seguire per sistemarli post mortem. Perché, dice Di Paolo, "alla fine si abitano tante case, ma l'ultima nostra dimora come la scegliamo?". Domanda valida anche per chi non sviluppa una religiosità specifica, partendo da spiritualità diverse. "Ma come vorrebbe il narratore che fosse andata la convivenza con Anita? I soldi devono restare in famiglia come i valori, ovviamente: ad esempio, si può lasciare in modo astratto in eredità ai figli un paesaggio molto amato, una visione del mondo. Il libro ha una voce forte narrante che cambia frequentemente tono: dove rimane quella nostra voce quando ce ne andiamo? Un personaggio è la sua voce, un modo di stare nella pagina. Perché la vitalità è un sentimento fortissimo in un tempo in cui facciamo fatica a parlare di anima". Come il dialogo con l’amico scrittore che scrive “una cosa”, perché in fondo i romanzi sono solo delle storie per far passare il tempo a un lettore distratto. In Anita la voce che è destinata a restare è quella di Misha.

Alain spiega che lo scrittore resta per molto tempo da solo con se stesso, mentre soltanto successivamente avviene l'incontro con l’editore e ancora più in là, attraverso questa interazione, si concretizza l’oggetto-libro che assomiglia quasi sempre a un messaggio in bottiglia. "Credevi di scrivere delle stupidaggini, ci confessa Elkann, che invece fanno riflettere critici del livello di Elisabetta e Paolo. Non serve capire o non capire: un libro è come un quadro! Anita è in questo momento un libro che amo molto: racconta di cose molto complicate che mi hanno abitato e angosciato e sono davvero difficili da spiegare. Scrivere sulla morte è sempre un po’ noioso, allora tanto vale pensare a che cosa potrebbe accadere 'dopo'! Il paradiso. Il Nulla. Io invece dico 'o ti fai seppellire o ti fai cremare'. Nella religione cristiana non si possono tenere le ceneri in casa! C’è chi muore e lo vestono. C'è chi invece denuda i morti o li avvolge nel manto. In Francia stai nello stesso cimitero di qualunque religione tu sia. Se mia sorella mi dice che devi andare in un’altra tomba, osservo che quella di mia moglie è piena. Ma i miei figli sono cristiani: così io che faccio?"

 "Per fortuna trovo un amico che ha più di una tomba a disposizione ma mi dice che si trova in luogo pericoloso. Allora non mi faccio seppellire lì perché poi i miei figli non mi possono venire a trovare! Invece, si possono tenere le ceneri in camera da letto, nella stireria: ma, allora, è meglio che mi faccia cremare? Nel libro c'è tutta una riflessione sulle ceneri. Se le divido che cosa lascio agli eredi? Un piede, una mano: ma quale? Se uno di loro eredita la destra allora non è quella con cui io scrivo e pertanto non sarà contento. Quindi, anche così l’eredità non è equa! Debbo dire che preferisco i romanzi brevi come questo di sole novanta pagine: quelli lunghi diventano un oggetto da mostra. Sì, è vero: i miei libri di racconti sono 'spicchi di un'arancia', perché ognuno di loro è una porzione della mia opera e rappresenta ciò che sei in quel momento, o quello che in quel momento vorresti dire. Anita l’ho conosciuta davvero e mi ha raccontato le sue varie storie con questa sua idea personale della morte e con lei ho realmente discusso. Non so davvero dirvi (alla Gaber, NdR) se sia di destra o di sinistra la sepoltura o la cremazione. Di certo non è l’eutanasia."

"Forse il libro intende soltanto riflettere su questa semplice domanda: che cosa succederà dopo la mia morte? I miei resti staranno in una casa, o in una scatola in aperta campagna?  Mentre la prima parte del racconto è immaginaria, il resto è invece una storia narrata attraverso le ceneri anziché basandosi sul sesso. Il problema della sepoltura è reale e ci riguarda davvero tutti. Misha racconta una storia d’amore fatta di stagioni diverse della vita e avrebbe voluto incontrare per tempo un'Anita giovane nel suo passato. Del resto, narrare è raccontare vite potenziali. La riflessione sul tema del dopo morte è come un basso continuo musicale: che cosa resta da un punto di vista concreto quando ce ne siamo andati? E noi dove e che cosa vogliamo che resti? Questo è il tema da me trattato tra comicità e ironia. Una narrazione carica di ombra ma che insegue uno stile allegretto. Lui, Misha, che è così borghese e non crede alla reincarnazione ma ha fede nel flatus dell’anima, che è una parola ma non ha sostanza reale. Noi non sappiamo che cosa saranno gli uomini dopo che ce ne saremo andati!".

"Nei dialoghi tra i due amanti, Anita pensa che lei stessa sarà solo il ricordo di una fotografia e non intende lasciare traccia di sé, mentre Misha non punta alla reincarnazione ma a stare comodo per il resto dell’eternità. Dibattito che diviene presto un vero conflitto amoroso: i due non riescono mai a costruire l’idillio sublime pur così tanto desiderato a causa delle troppe differenze. Vivere è scrivere e scrivere è vivere: per mio conto non ho mai avuto l’impressione di lavorare scrivendo. Continuo a scrivere con la penna e su fogli di carta. La fiction è la verità ma non fino in fondo, come fare proprio un aneddoto che è però di qualcun altro. Costruire un libro è una specie di gioco. I libri mi paiono tante teste finite che poi andranno a formare il disegno finale del puzzle. Penso a gente che si detesta e non si rivede mai più da viva, ma che, una volta trapassata, sarà costretta a stare per l'eternità nella stessa tomba con persone dai lei ignorate in vita. Ciò che accadrà dopo la morte è solo materia di immaginazione. Anche se mai e poi mai qualcuno potrà inventare.. un'anima artificiale!"

Maurizio Bonanni