Lovecraft, il culto della paura

25/03/2010

Ricordate il celebre “Vi chiederete come mai…” con il quale Hitchcock era solito presentare i suoi cortometraggi? Facciamo nostro quel prologo e, pur trattando di altra materia rispetto a quella del suddetto maestro, forse vi chiederete come mai Quarto Potere, sito eclettico ma decisamente più orientato verso il cinema, tratti di un autore che, con il cinema, non ha davvero nulla a che vedere. E’ indiscutibile: pochi scrittori sono meno adatti ad entrare in sintonia con le trasposizioni filmiche di Howard Philips Lovecraft, eppure pochi scrittori hanno influenzato maggiormente il genere horror su pellicola di Howard Philips Lovecraft. Confusi? Non lo siate. Iniziamo con un minimo di biografia, giusto per comprendere il personaggio. Lovecraft (HPL per gli amici e per gli sms) nasce a Providence, Rhode Island, il 20 agosto del 1890 da una famiglia agiata, il cui padre, un commerciante, non disdegnava dilettarsi con la cultura e un certo “old english style” sia nel vestire che nel linguaggio, le sue uniche due peculiarità che avrebbero influenzato il futuro scrittore. La madre, Sarah Susan Philips, colpita dalla morte prematura del marito a causa di una malattia venerea e probabilmente di indole ossessiva, inculcò nel figlioletto la convinzione di essere troppo orribile per piacere a una donna e che il suo aspetto avrebbe terrorizzato anche gli altri ragazzini. I presupposti perché Howard sviluppasse un’ elevata autostima, va detto, forse non c’erano. Alla morte della madre, “il solitario di Providence” si trovò a fronteggiare una condizione economica assai meno favorevole, e le cure delle due zie, più o meno simili a quelle materne, proseguirono involontariamente a forgiare il suo carattere improntato ad una endogena paura verso qualunque forma della realtà. E pensare che il nonno materno, Whipple Philips, aveva tentato di emancipare il ragazzo, ma morì quando egli aveva solo quattordici anni, lasciandogli in eredità una biblioteca che, se non enciclopedica, risultò assai utile per la sua formazione culturale. Frequentò per brevi periodi la scuola pubblica, gravato da continui crolli nervosi, e non ottenne mai la licenza superiore. Fin da bambino, Lovecraft esternò un vivo interesse per gli spazi siderali. Adorava osservare il cielo, contemplarne le stelle, seguire le traiettorie delle comete, ma il suo interesse rimase sempre a livello dilettantesco, dato che, come scrisse in una lettera all’ amico Loveman: una cosa era perdersi nel buio immenso, un’altra era inerpicarsi su calcoli matematici e geometrici, del tutto alieni dalle sue predisposizioni. Conobbe il matrimonio ma non l’amore carnale, e la sua separazione dalla moglie Sonia Greene, poetessa di sette anni più grande di lui, gli fornì una delusione da abbinare a quella che lo attendeva dopo la sua brevissima carriera nell’esercito. Congedato per salute cagionevole, Lovecraft, interventista, militarista (amante degli spaghetti, lo diciamo e sappiamo che non c’entra niente, però fa notizia), dovette scendere a patti con una fisicità che non gli permetteva di seguire i propri desideri. Il senso di inadeguatezza verso il mondo crebbe in lui con il passare degli anni, assieme ad una visione del cosmo ostile e terrificante. Uomo di una certa cultura, non al livello dei cosiddetti “autori colti”, Lovecraft puntò tutto sull’immaginazione, e la sua fu davvero priva di confini. Ideò un Pantheon di Dei crudeli, irrazionali, al centro del quale grugniva e rideva il supremo Azathoth, il dio cieco, il dio folle. Immaginare che l’universo sia retto da un essere onnipotente ma pazzo, che sghignazza e bestemmia nell’oscurità più profonda, rende alla perfezione l’atmosfera agghiacciante dei racconti che lo scrittore più visionario della storia ci regalò dal 1897 al 1936, fra i quali spiccano quelli appartenenti al “Ciclo di Cthulhu”, “Alle montagne della follia” e “Il caso di Charles Dexter Ward”. Il 10 marzo del 1937 Lovecraft muore nella stanza di un ospedale del Rhode Island, dopo una flebile resistenza contro l’ennesima malattia.
E fin qui il nostro argomentare è stato agevole come una biografia, più difficile sarà sostenere la tesi che, alla base di quasi tutto l’horror di serie b moderno, ci sia proprio lui: il raffinato autodidatta dallo stile linguistico ottocentesco e dai modi elegantemente inglesi. Difficile, senza dubbio, ma tutt’altro che impossibile. Si potrebbe quasi dire uno scherzo macabro architettato da quelle divinità che il nostro autore innalzava al di sopra di ogni altra umana superstizione. Andiamo con ordine: esistono due tipi di orrore, sia letterario che cinematografico: quello che chiameremmo “classico”, fatto di creature antropomorfi come vampiri, licantropi, non-morti e tutte le forme intermedie che avrebbero alimentato il genio di Edgar Allan Poe, e quello “subcosciente” (chi scrive si prende la responsabilità e la paternità della definizione), che non ha attinenza con la mitologia greco-romana o con le atmosfere gotiche dei primi romanzi “dark” del nord Europa e dell’ Inghilterra. L’ horror subcosciente non ha un retaggio culturale ed esordisce proprio con Lovecraft, che più di tutti seppe dare “forma informe” alle paure infantili. Dopotutto, che HPL non sia mai andato oltre l’età pre-adolescenziale è cosa abbastanza evidente, ed è proprio in quell’età di sconvolgimenti e paure che il deforme si estroietta per divenire malvagio, peccaminoso, incontrollabile. Sessuofobo, Lovecraft tentò senza alcuna convinzione di cimentarsi con l’horror classico, e compose due racconti, uno sul vampirismo e l’altro su Lilith, figura ancestrale, nemesi di ogni culto che rintraccia la sua origine nelle lontane fascinazioni Babilonesi. Il risultato fu abbastanza catastrofico, con uno stile inadatto e una contaminazione di generi davvero insopportabile. La sensualità dei vampiri e l’erotismo esplicito di Lilith, la “Prima Moglie” di Adamo, erano davvero troppo per chi aveva fatto del sesso una dimensione caleidoscopica. Non manca l’eros in Lovecraft, però è mostruoso, è fonte di creazioni folli e blasfeme, e va letto molto fra le righe, va decodificato come un’immagine irreale, o un codice criptato, in quei meandri della mente che, per dirla con Milton, possono fare “di un paradiso l’inferno e dell’inferno un paradiso.” Paura, repressione, istinti primordiali dirottati verso l’incubo, forse è materialistico argomentare così ma non riusciamo ad immaginare diversamente l’origine di una creatività tanto irripetibile. Facile sarebbe concludere che il sesso è l’elemento killer di certo horror giovanilistico moderno, la questione è assai più complicata. “L’ Estraneo”, uno dei suoi primi lavori, è l’esternazione più evidente di un disagio inconsolabile, la storia di un uomo che, in modo traumatico, scopre la propria deformità dopo anni di onirico isolamento. Se la vena erotica di Poe vira inevitabilmente verso il vampirismo psichico, senza perdere nulla della sua nera e fatale bellezza, o assume forma più edonistica, non scevra di una necrotica perversione, quella di Lovecraft semplifica drasticamente le cose e, nella sua delirante esegesi, conduce alla follia. Asessuati sono i suoi personaggi, finchè lontani dall’orrore. Esseri privi di armonia, resi crudeli dalla propria condizione, da Tob Hooper in poi, il cinema non ha mai smesso di partorirli. Ma anche mostri meno drammatici, che si rifanno proprio al mondo dei sogni e che si avventano sulla quotidianità con una forza inarginabile sono materia quotidiana di fumetti, film da noleggio e serie televisive. Da Tiziano Sclavi a “La Cosa” di Carpenter, niente sarebbe esistito se un ragazzo fragile di Providence non avesse messo mano alla penna. E, dopo Carpenter ed altri nomi noti del cinema e della letteratura, il numero dei seguaci non sempre talentuosi del puro terrore panico è aumentato esponenzialmente. E’ probabile che Lovecraft, se solo sapesse che fine ha fatto la sua ispirazione, impazzirebbe, la qual cosa non sarebbe poi un gran danno, visto che, fra terrore eterno e follia, forse è da preferirsi la seconda, ma ancora una volta registriamo come sia impossibile dividere la cultura elitaria da quella popolare, e quanto sia vano il tentativo di chiudere nel tempo un genio che, dal tempo, non si è limitato a forgiare i nostri pensieri, ma ha scavato nell’animo umano come un minatore in cerca di pietre preziose. In questo caso, però, erano il fango e le ossa corrose che Lovecraft cercava. Ragione e desiderio, ordine e abominio, una guerra ancora troppo forte nei nostri cuori perché gli autentici maestri del brivido la ignorino.

Carlo Baroni