Che Forster sia uno degli
scrittori preferiti di David Leavitt, scrittore americano dalla sensibilità
europea, non v’è alcun dubbio. Leavitt lo dimostra citandolo a piene mani in
“L’autore dei saggi di fine trimestre”, primo racconto della raccolta
“Arkansas”. Lo dimostra anche nella vita, scegliendo di andare a vivere in
Toscana, in quei luoghi che all’inglese Forster apparivano come scenario di
passione, combinando la dolcezza di un paesaggio simile al suo alla sensualità
del Sud. Non è dunque un caso che sia Forster che Leavitt siano autori di
alcuni tra i romanzi d’amore più belli e toccanti. Amore omosessuale,
s’intende. Occultato in Forster che, dopo aver tratteggiato indovinatissime figure
femminili come la giovinetta di “Camera con vista”, tenne nel cassetto il suo
capolavoro, “Maurice”, pubblicato postumo e portato sullo schermo da Ivory
(raro caso di film fedele al libro d’origine). Lo stesso Maurice nasconde a sé
e al mondo i propri desideri omosessuali travestendoli d’amicizia e simbiosi di
anime, finché si libera di anni di segreti tormenti scoprendo l’amore completo
con un giovane guardiacaccia, mentre l’amato compagno di college se ne va
inghiottito da una finta vita normale con moglie e politica. Ostentato è invece
in Leavitt, ma anche il dramma di Philip, il
protagonista di “La lingua perduta delle gru”, è quello di non saper rivelare ai genitori la propria omosessualità,
così come suo padre Owen si sente schiacciato dal peso della propria mai
riconosciuta. E anche il Brian del bellissimo “Mentre l’Inghilterra dorme”
provoca la rovina del proprio amante nel vano tentativo di “mettersi sulla
retta strada”. Quello che è meraviglioso in “Mentre l’Inghilterra dorme” è il senso della colpa, di amore e morte che
ha commosso chiunque abbia letto il libro. “Dato
che l’umana capacità di soffrire è limitata, scopri che non puoi infliggere a
te stesso il dolore che infliggi al tuo prossimo. Così rifuggi da chi ti causa
angoscia, ti trasferisci altrove, e in quella nuova situazione cerchi di
convincerti che i vecchi luoghi non esistono più; che la distanza oblitera la
storia; che il ragazzo morto per causa tua era solo frutto della tua
immaginazione e perciò non è mai morto (...) E se hai amato questo ragazzo, se
se colui che gli è sopravvissuto oltre che il suo assassino, sarai costretto a
sacrificare il ricordo di quell’affetto. Seppellire il dolore per sopportare la
colpa. Come ho fatto io, a Los Angeles, per 31 anni”.
Ciò che è struggente, in Forster
come in Leavitt, è il senso della perdita, del distacco che la dimenticanza,
invece di attutire, rende più irrimediabile. Dopo che Clive scrive a Maurice
“contro la mia volontà sono diventato normale”, sulla loro storia d’amore cala
una sorta di nebbia. “Quando l’amore ha
preso il volo non lo si ricorda più come amore ma come qualcos’altro. Beati gli
incolti che lo scordano totalmente e non hanno mai conoscenza di follie o di
prurigini passate, o di lunghe, gratuite conversazioni”. Allo stesso modo
Philip viene travolto dall’improvviso abbandono di Eliot, gli grida la sua
disperazione, ma poi interviene il tempo. “Ormai,
quando Philip visualizzava quei giorni e quelle notti insieme, le scene avevano
qualcosa di verdastro, di irreale, come un vecchio film che è rimasto troppo a
lungo in una scatola. Il ricordo stava svanendo”. E’ quello che diceva
anche Flaubert : “Tutto finisce, tutto passa, l’acqua scorre e il cuore
dimentica”. E tutto ciò non è tristemente ed ugualmente vero, che si racconti
di due uomini o dell’amore tra uomo e donna?
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