Il bambino che leggeva il Corano

22/09/2010

“Il bambino che leggeva il Corano” è un viaggio a tinte forti nella parabola umana e spirituale di un giovane pakistano, attraverso il fascino e le ombre dell’Islam, alla ricerca della propria libertà.
Halal (lecito) ed haram (illecito) lasciano spazio anche ad una terza dimensione, il makruh, il riprovevole, ed alla lucida analisi di una religione che nei primi anni di vita del ragazzo funge da alveo sicuro nella convinzione di una missione da compiere. Essa scaturisce da una lontana promessa del padre nel luogo santo per eccellenza: la Ka’ba.
Mai scontato e mai banale, il racconto di Ali Eteraz scorre via veloce, senza pause, catturando l’attenzione del lettore attraverso i continui richiami alla odierna realtà, ponendosi a metà strada tra il romanzo ed il saggio.
L’11 settembre, Osama Bin Laden, Salman Rushdie, l’intifada ma anche la filosofia dell’ottocento ed il post modernismo rappresentano richiami utili ad ancorare la narrazione al presente rendendola oltremodo pragmatica.

Il protagonista, Abir ul Islam (letteralmente Profumo dell’Islam), viene investito del compito di diffondere il credo come una meravigliosa fragranza, persuaso dalla bontà di un destino che altri avevano deciso per lui.
Sacrifici, ubbidienza, terrore del peccato, ore trascorse nella madrasa sono i tratti caratterizzanti di un’esistenza finalizzata all’affermazione di ciò che tutto giustifica e trascende, anche l’innocenza della fanciullezza: l’Islam.

Anni dopo, la famiglia è costretta a lasciare il Pakistan ed a trasferirsi in America.
La nuova realtà, l’America degli attentati terroristici (“Due spade aeree mozzarono teste a Manhattan. Mio Dio, fa che non siano musulmani”) costringono il giovane a confrontarsi con se stesso e la sua cultura, retaggio di un passato ancora recente (“Assistevo alla lenta ma inesorabile affermazione della cultura laica, insidiosa perché si ammantava di sesso”).
La sua esperienza si trasforma così in un continuo “dibattito” tra la tradizione, il cuore ed il consapevole richiamo della modernità, delle passioni e delle terrene ipocrisie che cerca di rifiutare (“Essere musulmano non è solo una condizione dell’anima ma una modalità dell’esistenza”).
Ha così inizio un percorso individuale che lo porterà a mettere in discussione le ragioni di una vita (“Mi diedi come scopo di minare dalla base tutto ciò che i musulmani ritenevano sacro”).

Dopo essere tornato in Pakistan, additato come infedele solo perché ormai americano ed a seguito della disillusione scaturita dalla circostanza di aver scoperto che la (presunta) discendenza dal califfo Abu Bakr era frutto solo di un inganno, la reazione del giovane è la ricerca ossessiva di valide argomentazioni atte a mettere in discussione le stesse basi del proprio credo.
Successivamente ad adoperarsi per dimostrare che l’Islam è una religione di pace ed amore (“Quella scelta non mi procurò la soddisfazione desiderata. Sentivo di aver tradito la mia gente”); inorridito dal fanatismo e dall’assassinio, decide di tornare in Medioriente, determinato ad avviare un processo riformista.

Con uno stile essenziale, l’autore riesce a descrivere lucidamente l’abisso che intercorre tra la cultura occidentale e quella orientale in un momento storico nel quale risulta utile soffermarsi su cosa significhi essere musulmani in terra straniera.
Non c’è spazio per voli pindarici ma tutto si svolge esclusivamente in coerenza con il mondo reale laddove, a causa di pochi, è un intero sistema di principi ad essere messo in discussione.

Eteraz, reporter per diversi quotidiani e riviste internazionali, è impegnato da tempo nella diffusione di principi libertari tra musulmani e lo si avverte attraverso il personaggio di Zaid, probabilmente autobiografico ed apparentemente indifferente, che conduce per mano Abir verso la comprensione dell’idea di un“Noi” necessario ad affermare l’esistenza di Dio.
Tale concetto va anteposto all’idolatria dell’Islam che esiste a patto di ragionare in termini generali ex ante. E’ questa la Prima testimonianza che Amir si ostina a considerare residuale ma che, giocoforza, accetterà come principio e guida della sua giovane esistenza.

Nuccio Franco