Toulouse-Lautrec. La collezione del Museo di Belle Arti di Budapest

15/02/2016

Con circa 170 opere (tra cui otto affiche di grande formato) provenienti dal Museo di Belle Arti di Budapest, arriva al Museo dell’Ara Pacis di Roma una importante mostra su Henri de Toulouse-Lautrec (1864 – 1901), uno dei più famosi bohémien della Parigi di fine Ottocento, dove si ripercorre la carriera dell’artista dal 1891 al 1900; dunque sino a poco prima della morte, avvenuta a soli 36 anni. Si ha tempo fino all'8 maggio 2016, per visitare questa esposizione, così da conoscere in modo esaustivo l'opera grafica di Toulouse-Lautrec, con alcune autentiche rarità, poiché stampate in tiratura limitata e corredate dalla firma dell'artista.

Considerato il più importante autore di manifesti del XIX secolo, l'illustratore transalpino ha come peculiarità l'avere quasi esclusivamente utilizzato come soggetto la più disparata e anticonvenzionale umanità presente nella Parigi dell'epoca, colta in momenti quotidiani o di divertimento, proponendo immagini che hanno affascinato e, nel contempo, turbato la borghesia francese. La sua grande fonte d’ispirazione è stato il quartiere di Montmartre e la maggior parte delle sue illustrazioni sono riconducibili alla vita notturna che qui si svolse, la quale ebbe come palcoscenico ideale – è proprio il caso di dirlo – i locali di questa zona. 

Malgrado figlio di una nobile e tradizionalista famiglia francese,  Toulouse-Lautrec è sempre stato attratto da persone dalla morale non certo irreprensibile, né tanto meno di estrazione aristocratica. Forse è proprio questo suo retaggio personale che gli ha permesso di penetrare, talvolta persino con una spietatezza solo parzialmente attenuata dai colori vivaci delle sue figure, nella rappresentazione del vizio in senso lato.

La sua deformità, causata da un difetto genetico alle ossa, lo fece sentire un diverso, a suo agio solo con chi era considerato ai margini della società; e questa è in sostanza una spiegazione abbastanza plausibile per la vita che scelse quando si recò a Parigi nel 1882. Giunto nella Capitale e ottenuto il permesso dei genitori di intraprendere la carriera artistica, egli entra nell'atelier di Léon Bonnat (1833 – 1922), ma la sua forte personalità poco si confà alla schematicità della pittura accademica che gli viene insegnata. A Parigi Toulouse-Lautrec conduce una esistenza sregolata, frequentando i music hall, il circo e continuamente le case di piacere, traendo da questi ambienti ispirazione per la sua originalissima arte, nella quale la unica cosa che conta davvero è la rappresentazione delle persone. Con gli impressionisti, ai quali si suole spesso e non sempre giustamente collegarlo, egli condivise sostanzialmente l'avversione per l'Accademia, nonché l'interesse per gli aspetti della vita quotidiana. Epocale fu per lui la conoscenza, tramite Van Gogh, degli ukiyo-e: incantato dalle stampe giapponesi, Toulouse-Lautrec matura la percezione di una estetica tipica del cosiddetto japonisme, cominciando a  sviluppare una immagine piatta e verticale. A questa si affianca la sua naturale predisposizione quasi espressionista nei soggetti ritratti, dove è centrale la resa della personalità degli individui.

Gli anni più importanti per la sua carriera sono quelli che vanno dal 1889 al 1893, quando sceglie i suoi temi, passando le notti nel celeberrimo Moulin Rouge (aperto nel 1889). In mostra, a tal proposito, una delle sue opere più famose (1893), che ritrae la ballerina Jane Avril, una delle stelle del locale. Toulouse-Lautrec si trova presto a produrre manifesti che resteranno nella storia dello spettacolo, raccontando la vita di quel quartiere, Montmartre, che fu la sua vera casa, con le sue gioie e pazzi divertimenti, fatti di feste e balli. Tuttavia, egli non mancò pure di mostrarne le ombre, come l'alcolismo e la prostituzione, stigmatizzando una dissolutezza puntualmente declinata al femminile. Del resto, lo stesso Toulouse-Lautrec fu un alcolista e la sua arte è sovente un alternarsi di luci e ombre; di una vitalità in lotta con la morte. L'amore poi lo conobbe quasi esclusivamente con le prostitute. Egli riusciva con enorme facilità a introdursi nel privato delle donne, è il caso dei camerini delle ballerine. Ciò era possibile a causa della sua deformità, la quale non lo faceva percepire come un uomo vero, bensì un eccentrico e talentuoso freak: uno scherzo della natura. Non va inoltre dimenticato il suo frequente ricorso alla satira. Per tale motivo, egli si inserisce forse meglio di chiunque altro nel solco della caricatura, spesso e volentieri graffiante, di scuola francese che vide in Honoré Daumier (1808 – 1879) il suo principale esponente. Come ebbe da dire il critico d'arte Roger Marx (1859 – 1913): “Il manifesto è l'affresco della nostra epoca”, tesi confermata più tardi dallo scrittore Anatole France (1844 – 1924), il quale definì il manifesto come “l’affresco dei poveri”, in virtù della sua immediatezza, giocata perlopiù sulla contrapposizione tra colori primari, in una resa bidimensionale. In questo Toulouse-Lautrec fu un assoluto maestro.

Per quanto concerne la presenza delle sue opere nel nostro Paese, non di rado capita di leggere negli addetti ai lavori come l'artista transalpino sia pressoché assente nelle raccolte pubbliche e private italiane. Trattasi di una grossolana imprecisione, la ennesima sul nostro impareggiabile patrimonio museale. Invero, manifesti di Toulouse-Lautrec si trovano presso la GAM di Milano (Collezione Grassi) e anche nella stessa Roma. Ci riferiamo al Museo Parigino a Roma, che possiede una collezione di affiche che ha davvero poco da invidiare a quelle presenti nell'Hexagone. In aggiunta, va ricordato che il manifesto è stato sistematicamente collezionato in Italia, il più delle volte quando legato al mondo del cinema: imponente è, ad esempio, la raccolta del Museo Nazionale del Cinema di Torino, che con i suoi circa 530.000 esemplari è forse la più ricca collezione esistente e non solo in Italia.

Tornando a Toulouse-Lautrec, intensa è anche la sua attività di illustratore di libri, giornali e riviste, la quale si affianca a quella ben più nota di grafico pubblicitario, che con opere come il famosissimo manifesto proprio del Moulin Rouge (1891) garantì il successo di questo singolare artista. Nella litografia egli trova la sua forma di espressione preferita, poiché gli permette di cogliere appieno gli animi dei suoi modelli, “catturati” con empatia e nei momenti di riposo, è il caso di una delle affiche più intense in esposizione: “La Clownesse assise” (1896), dove si allude a quel mondo saffico che caratterizzava non poco la vita di ballerine e prostitute. In effetti, un elemento fondamentale in Toulouse-Lautrec è il costante alternarsi della gioia dello spettacolo, con la malinconia del momento privato. Questo ultimo aspetto lo avvicina a Edgar Degas, anche egli, come lui, influenzato dalle stampe giapponesi, segnatamente da quelle di Kitagawa Utamaro (1753 – 1806) .
La carriera dell'artista incrocia persino una figura di primo piano della politica francese come Georges Clemenceau (1841 – 1929): Primo Ministro dal 1906 al 1909 e dal 1917 al 1920, uno degli artefici del Trattato di Versailles (1919); che la storiografia ha ormai dimostrato essere la causa principale del risentimento tedesco, il quale porterà alla II Guerra Mondiale. Clemenceau commissiona a Toulouse-Lautrec dieci illustrazioni da inserire nel volume “Au Pied du Sinai” (1897), pubblicato nel 1898.

Tra i vari manifesti in mostra va ricordato il bellissimo: “Divan Japonais” (1899), pubblicità dell'omonimo café-chantant e dove ritroviamo come protagonista Jane Avril. Un altro personaggio che ricorre nei suoi lavori è il cantante Aristide Bruant, mostrato sempre con la sua sciarpa dal colore rosso acceso, il grande mantello e il cappello a tesa larga. Infine, assai significativa è l'opera “Le Jockey” (1899), ove si palesa l'influenza non solo del sopracitato Degas, ma altresì del nostro Giuseppe De Nittis. Qui è possibile notare un aspetto cruciale in Toulouse-Lautrec: la sua bravura nella rappresentazione dei cavalli, che segnerà la ultima parte della sua carriera, nonché suo terminale momento di crisi esistenziale. Difatti, nella illustrazione intitolata: “Napoléon”, l'artista dà il meglio di sé nella resa dei destrieri cavalcati dal conquistatore corso e dai suoi uomini. L'opera venne creata per il concorso organizzato dalla rivista americana “The Century Magazine”. Il giornale aveva iniziato la pubblicazione di una biografia a episodi del Bonaparte e per promuoverne l'uscita, la direzione della testata aveva deciso di commissionare un manifesto a Eugène Grasset e che aveva riscosso un grande apprezzamento. Gli editori decisero allora di pubblicizzare anche il secondo volume della biografia con un altro manifesto; Toulouse-Lautrec presentò il suo lavoro, ma la giuria, formata da pittori accademici, non giudicò il suo disegno abbastanza realistico. Innervosito da questo rifiuto, egli decise di farlo stampare a proprie spese. La sua abilità nel raffigurare i cavalli in modo del tutto originale, come se fossero delle sagome non delineate, ma lo stesso capaci di comunicare movimento e vigore, è a nostro parere l'aspetto che meglio caratterizza l'unicità dell'arte di Toulouse-Lautrec. Sfortunatamente, egli si accorse troppo tardi di non aver coltivato questo suo prezioso elemento distintivo, e a conferma di ciò troviamo vari schizzi e studi risalenti ai suoi ultimi anni di vita che chiudono la mostra. Riteniamo, sapendo di remare praticamente contro tutta la esegesi del suo lavoro espressa sino a oggi, che se Toulouse-Lautrec avesse dedicato meno tempo nel rappresentare la affascinante, benché ripetitiva, vita di sregolatezza dei locali della Ville Lumière, per concentrarsi sullo sviluppo di un tratto decisamente più autoriale, oggi sarebbe assai più facile considerarlo un vero pittore e non soltanto un “semplice” illustratore.

Non solo artista, ma un autentico personaggio, questo fu in sostanza Toulouse-Lautrec, tanto da essere ricordato nel francamente dimenticabile musical per il grande schermo: “Moulin Rouge!” (2001) del regista Baz Luhrmann. “Bisogna essere capaci di convivere con se stessi”, così Toulouse-Lautrec sintetizzò la sua esistenza, insieme a quella dei tanti personaggi eccessivi che popolarono la sua immaginazione. Nei suoi manifesti, egli non fece altro che riportare alla luce la “doppia faccia” della vita notturna di Parigi. Da una parte l'allegria, dall'altra la solitudine che irrompe nel momento in cui lo spettacolo, la festa, giunge al termine.

Riteniamo in ultima battuta doveroso precisare che se l''800 è stato il secolo francese per l'arte del manifesto, questa ha però “parlato” italiano in quello successivo. Come non ricordare perciò le straordinarie pubblicità di Marcello Dudovich e del futurista-naïf Fortunato Depero. Ciononostante, pubblico e critici da noi sembrano non accorgersi mai di loro; un fatto che lascia abbastanza interdetti, quando, per converso, si celebra – ragionevolmente sia chiaro – Toulouse-Lautrec con ben due mostre: a Roma e quella appena conclusasi presso Palazzo Blu a Pisa. 

Riccardo Rosati