Ninja e Samurai. Magia ed estetica

11/03/2018

 

Dopo Bushi: Ninja e Samurai – La Magia e l’Estetica del Guerriero Giapponese dal Manga, alle Guerre Stellari (15 aprile 12 giugno 2016), l'Associazione Culturale Yoshin Ryu, da anni promotrice nella organizzazione di eventi atti a divulgare la tradizione nipponica sia attraverso l'arte e la storia, come pure negli aspetti più commerciali e Pop, e il Museo d’Arte Orientale (MAO) di Torino propongono la curiosa e particolare mostra: NINJA E SAMURAI. Magia ed estetica. BUSHI parte seconda, che resterà aperta sino al 2 aprile 2018.

Gran parte di noi li ha conosciuti nei fumetti, nei cartoni animati e nei film, sono i leggendari guerrieri giapponesi, che si dividono, mettendola in modo un po' semplicistico, in due classi militari: i samurai e i ninja. Con questa mostra ci si addentra nella loro storia, ma anche nel mistero che circonda la loro mitizzazione. Personaggi ispiratori sia dei cosiddetti film “di cappa e spada” nipponici, si direbbe in Europa, quei Jidaigeki (時代劇) del sottogenere chanbara, che di pellicole occidentali, perlopiù tendenti a una poco meditata esaltazione dei samurai, un caso eclatante è il film di Edward Zwick: L'ultimo samurai (“The Last Samurai”, 2003).

Una opportunità per sapere meglio

Visitando la esposizione in corso al MAO, oltre a potere ammirare la sua ricca collezione permanente, la quale, vale la pena ricordarlo, vanta il più importante statuario buddhista d'Europa, il cui pezzo forte è un monumentale Kongō rikishi (230,5 cm, Periodo Kamakura, seconda metà XIII sec., legno dipinto), si ci confronta con quegli oggetti utilizzati da ninja e samurai, che non raccontano affatto una storia “fiabesca”, visto che lasciano quasi perplessi la ingegnosità e perfezione di quelli che altro sono che strumenti di morte e tortura.

Le circa 200 opere, databili tra il XVI e XX secolo, qui esposte provengono in gran parte da collezioni private, manufatti mai esposti prima d’ora; il restante dei pezzi è stato concesso straordinariamente dal Museo d’Arte Orientale di Venezia, la cui collezione nipponica è sì “leggendaria”, seconda in Occidente solo a quella del Museo d'Arte Orientale “Edoardo Chiossone” di Genova.

Magia” ed “Estetica”, due sostantivi che costituiscono i più diffusi stereotipi riguardo le figure storiche di ninja e samurai. Termini scelti dai curatori probabilmente con la intenzione di suggerire una dimensione fantastica per poter però giungere, attraverso il percorso espositivo, a una più attendibile conoscenza di queste figure che, esaurito il loro compito nella storia passata, hanno, come detto, esercitato nei secoli successivi un innegabile fascino, talora persino incontrollata e poco ragionata venerazione, nonché un anacronistico desiderio emulativo.

La visione della vita dei samurai è ancorata agli strati più profondi dell’inconscio collettivo del Giappone, e dagli anni '50 in poi, si è gradualmente consolidata pure nell'immaginario popolare occidentale. La particolare concezione del mondo di questi abilissimi combattenti, la ferrea etica castale neoconfuciana del Bushidō, associata alla corrente buddhista Zen, che permeava non solo la filosofia, ma pure l'arte; tutto questo ha permesso al samurai di divenire prima una sorta di lontano “mito esotico”, per poi tramutarsi in icona, talvolta persino in fenomeno Pop. Eppure, gli oggetti in esposizione ci narrano una storia assai più concreta, ed è questo, a parer nostro, l'aspetto di primaria importanza di questa mostra.

Tra i tanti interessanti pezzi, spiccano per rarità e bellezza una armatura del Periodo Edo (1603 – 1868) appena restaurata, un corredo guerresco da viaggio e una lama da combattimento forgiata nel 1540. Dal bagliore delle lame e degli armamenti, dalla delicatezza delle laccature e delle stoffe indossate dai samurai, si entra nel mondo dei “guerrieri ombra”, i ninja, con armi come le famose lame a stella shaken (meglio conosciute da noi come: Shuriken,手裏剣), attrezzi, costumi, strumenti e, addirittura, oggetti esoterici, cosa che ci ricorda il diverso concetto di uso del corpo e delle risorse attinte dalla Natura e dalla sua osservazione da parte di coloro che si chiamano anche shinobi. Ricordiamo, infatti, che nell'indicare il guerriero tradizionale nipponico con un determinato nome, se ne evidenzia una precisa caratteristica. Ragion per cui, se con bushi, si intende la condizione di “guerriero”, con samurai, invece, quella di “guardiano/servitore”, poiché questa parola deriva dal verbo: 侍る(“Haberu”), che significa “attendere/essere al servizio”. Lo stesso dicasi per i “guerrieri ombra”, con shinobi che indica la abilità di muoversi con destrezza e in modo furtivo, mentre il celeberrimo appellativo ninja (忍者) sta a significare un individuo capace di “tollerare/sopportare”, con chiaro riferimento al dolore fisico. Questa mostra serve per l'appunto a capire le differenze tra queste due fondamentali figure storiche della cultura tradizionale dell'Arcipelago, le quali partono proprio dal modo di chiamarle.

C'è da dire, che per la prima volta in Europa si potrà apprezzare una esposizione dedicata al repertorio di armi dei ninja così completa per quantità e varietà. Talli pezzi provengono tutti da raccolte private, cosa che suggerisce quanto i musei di mezzo mondo si siano affannati a collezionare oggetti afferenti al mondo samuraico, trascurando quasi completamente il repertorio bellico dei ninja, il quale è per taluni aspetti persino più intrigante di quello dei bushi. Pertanto, la esposizione in corso a Torino consente di ammirare esemplari rarissimi, che abbiamo visto innumerevoli volte nei fumetti e nei cartoni animati, ma mai dal vivo!

La mostra si chiude con la esposizione di oggetti legati alla nascita dei primi corpi di polizia feudale del Giappone unificato, tra tutti, citiamo la Shinsengumi (真選組): un reparto scelto formato da soli samurai e al soldo dello Shōgun. Questa milizia era attiva nella città di Kyōto contro gli oppositori del “generalissimo”. Invero, il grande regista Ōshima Nagisa parla in modo molto suggestivo della Shinsengumi nella sua pellicola: Tabù – Gohatto (1999), stigmatizzandone la corruzione e i rapporti di tipo omosessuale tra i suoi componenti. A rammentare le gesta di codesti particolari “poliziotti”, troviamo i torimono (捕り物), ovvero gli strumenti da arresto e contenimento da loro utilizzati durante la amministrazione del Paese da parte dei Tokugawa. Questi oggetti, che andrebbero preferibilmente non considerati quali delle armi da offesa, sono la espressione di una nuova visone del mondo, ove il guerriero non è più addestrato a uccidere per non essere ucciso, bensì a catturare, visto che a quel tempo la guerra era un qualcosa di remoto e la unica cosa che contava per il Potere era il mantenimento dell'ordine sociale.

Vi è comunque da dire che armi e armature non sono i soli protagonisti della mostra. In esposizione ci sono altresì opere d'arte legate ai guerrieri giapponesi: documenti strategici e tecnici d'epoca, esempi di calligrafia, una coppia di grandi paraventi, strumenti legati alla Cerimonia del Tè, maschere e ornamenti teatrali. A corredo e complemento del tutto, sono pure presenti xilografie dei maestri: Utagawa Kuniyoshi, Utagawa Kunisada Toyokuni III e Katsushika Hokusai.

Una storia che molti fraintendono

Con il Buke Shohatto (武家諸法度, “Leggi per le Classi Militari”), ai samurai, che all’inizio del ‘600 si calcola fossero il 6–7% della Popolazione, si indicò la necessità di una riconversione per i tempi di pace: non più il Kyūba no michi (弓馬の道, la “Via dell’Arco e del Cavallo”), ma il Bunbu Ryōdō (文武両道, la “Via delle Lettere e della Guerra”), che doveva uniformare il loro comportamento. Il bushi, insomma, aveva il compito di coltivare l’arte della spada e, nel contempo, sviluppare la propria erudizione, trasformandosi sempre più in letterato, funzionario, burocrate e sempre meno in combattente; vennero perfino proibiti i duelli per motivi privati. La storiografia ufficiale del Giappone non fa mistero del fatto che durante il Periodo Edo si incoraggiò il samurai a considerarsi un fedele ingranaggio della macchina sociale. Per alcuni questo dato potrà risultare una delusione, eppure se le mostre servono davvero a qualcosa è proprio per saperne meglio. Sfortunatamente, in linea di massima, queste sono sterili eventi che giovano solo al curriculum dei curatori e agli incassi delle biglietterie. Non è tuttavia questo il caso della esposizione presso il MAO, dove, ad esempio, l'oggetto ci racconta qualcosa di inedito, quindi prezioso, come per i ninja, dei quali scopriamo essere stati una élite talora retrograda, emarginata, rifiutata, e assai temuta; nondimeno di avanguardia, sia per quanto concerne la formazione militare, sia per la concezione della vita stessa, talmente liberale – uomini e donne combattevano fianco a fianco in battaglia e potevano vantare pari diritti nel clan – e provocatoria per la rigida morale neoconfuciana che allora saturava lo Stato, da risultare odiati, poiché incompresi.

Conoscere e non stereotipi

In conclusione, ci sentiamo di consigliare la visita a questa mostra, non fosse altro per ammirare numerosi oggetti militari che è quasi impossibile trovare in tanta varietà in un museo orientale. Armi spesso belle, quanto letali... è proprio vero, parafrasando una battuta del suddetto film di Zwick, che i nipponici hanno pensato alla guerra per secoli e secoli; pure quando non c'era, parte della loro mente era rivolta . Vi è comunque un aspetto di questo evento che vogliamo non vada perduto e che può servire quale ragionamento base per future ricerche strutturate. Ritorniamo, allora, direttamente al titolo della mostra; ecco, qui troviamo una dicotomia di grande importanza per capire i guerrieri del Giappone feudale. Ossia, da una parte, abbiamo la “magia”, l'esoterismo e una forma sociale apolitica nel mondo dei ninja; dall'altra, una “estetica” organica al Potere, colma di regole e procedure, che ha portato il bushi, l'“uomo di guerra” a ritrovarsi samurai: un “servitore”. Fine di un mito? Per nulla! È l'inizio di una conoscenza meno stilizzata e cinematografica del Sol Levante.

Riccardo Rosati