Il Nome della Rosa

01/03/2019

Leggendo il capolavoro del grande Umberto Eco, il primo pensiero è: come è possibile che un’opera così dotta e complessa sia potuta diventare un best seller? Quando la scrisse, Eco, da fine umorista e pozzo di sapienza qual era, si prese gioco del lettore sviandolo con un’indagine alla Sherlock Holmes che conduceva non solo ad una soluzione che negava le sue premesse, ma attraverso un libro che parlava d’altro, un trattato filosofico e una riflessione storica che, se non fossero stati proposti sotto forma di thriller gotico, non avrebbero trovato pubblico al di fuori dell’ambito accademico.
Di fronte ai 55 milioni di copie vendute nel mondo e le traduzioni in 50 lingue, Hollywood non seppe resistere dal fare un film. Jean-Jacques Annaud ne trasse un film di forte impatto visivo ed emotivo, ma che poco aveva a che vedere col romanzo: non solo l’esigenza di condensare 600 pagine in 2 ore lo costrinse a interessarsi esclusivamente al lato “murder mistery”, ma il medioevo che rappresentò era cupo, grottesco, “mostrificante”, in linea con la visione tradizionale che il rinascimento ci ha tramandato di quell’epoca, in antitesi col messaggio dell’autore.
Oggi, col beneplacito dello stesso Eco, la RAI affronta una megaproduzione internazionale, già venduta in tutto il  mondo, che, grazie al respiro narrativo che possono dare 8 ore di proiezione, e ad una sceneggiatura attenta a trasportare in azione i mille pensieri che attraversano frate Guglielmo da Baskerville e la ricchezza tematica del romanzo. Visionando le prime puntate possiamo già sbilanciarci e dire che l’intento è ampiamente, se non totalmente, riuscito. Scrupoloso, preciso, con una scenografia perfetta e una fotografia di forte suggestione pittorica, con rimandi giotteschi, un cast internazionale di alto livello (su tutti spicca, ovviamente, il grande John Turturro, ma il giovane Damian Hardung è da tenere d’occhio), la serie tv avvince nel racconto giallo ma riesce a far passare i messaggi più profondi e a mantenere un’accuratezza storico-teologica che non appesantisce la narrazione ma anzi le dà maggior valore, oltre che aderenza al testo. Forse il lato ironico – a cui Eco tanto teneva, e che è il messaggio ultimo della novella – sembra (ancora) mancare, ma non abbiamo visto l’opera nella sua totalità e su ciò sospendiamo il giudizio: così come attendiamo il finale per promuovere a voti quasi pieni l’operazione firmata da Giacomo Battiato, ma date le premesse siamo quasi certi che la soluzione dell’enigma rispecchierà non solo la lettera, ma anche lo spirito del romanzo.
Perché voti “quasi” pieni, vi chiederete, se nulla abbiamo avuto da obbiettare sul livello di scrittura e messinscena, anzi e abbiamo cantate alte lodi? Certo la cornice alla narrazione (il manoscritto “ritrovato”) non poteva essere trasportata in film. Cosa manca, dunque? La risposta è “nulla”: caso mai il difetto è che eccede, e precisamente nella vicenda dei dolciniani. Vero che frate Dolcino è un leit-motiv del racconto, ma qui ci si disperde a narrare le avventure sue e di sua figlia, totalmente inventate dagli autori dello script. Non si tratta di fare i “puristi”: anche il passato guerresco di Adso e il suo rapporto tormentato col padre sono inventati di sana pianta (trasformandolo in un novello san Francesco), ma bene si inseriscono nella trama e arricchiscono il personaggio e il suo rapporto con frate Guglielmo. La storia di Anna, invece, è un corpo estraneo, e i modi in cui è narrata cadono nel piattume delle convenzioni televisive, rendendo la storia più simile a “La freccia nera” che non a “Il nome della rosa”. L’impressione è che, se due ore erano troppo poche per comunicare l’ampiezza e varietà del libro, 4 puntate siano addirittura troppe e si sia cercato di allungare il brodo, o accontentare un target più ampio di spettatori.
Nonostante comunque questa sbavatura, non ci resta che applaudire a questa nuova serie tv e augurarle ascolti record, perché non solo è qualcosa di piacevole di per sé, ma traccia una linea di produzione e programmazione eccellente anche per il futuro: cultura “contrabbandata” attraverso un’operazione mainstreem.

La Presentazione

Elena Aguzzi