
Recarsi,regolarmente, a teatro e (per) vedervi “di tutto”, può generare una fucina di idee, divenire occasione di confronto, linfa per lo sviluppo di un pensiero scenico personale e collettivo da sostenersi in equilibrio dinamico mediante una coerente speculazione dialettica.
Al di là e al di qua del palcoscenico, l'alchimia del rito deve compiersi in toto per assicurare il rispetto di un sacro patto di verità (riprodotta ) che come in uno specchio coincide con la soddisfazione del desiderio /bisogno costante di riflettersi... meglio se seduti comodamente su poltroncine rosse o blu e non chini dietro un piccolo buco di serratura.
Tuttavia credo, a buon diritto, di poter constatare che vi sono spettacoli rei di produrre un'estrema distanza, di allontanare imponendosi su un piedistallo di novità terribilmente vetusta spegnendo la curiosità con prediche noiose per i vari fedeli riuniti.
La pazienza è, infatti la virtù più attraente del pubblico che noi abitualmente frequentiamo e i teatri altrettante palestre di mortificazione : e io so di gente che si reca alle funzioni religiose e politiche di una certa importanza anche per soddisfare il suo gusto per lo spettacolo , così male esercitabile nei teatri.
Provando ad analizzare lo spettacolo “Pilade” andato in scena al teatro Vascello fino alla metà del mese di ottobre e che , per ragioni innanzitutto di ordine temporale, sottopongo all'attenzione generale qualche tempo dopo la ricorrenza del trentacinquesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, le parole su riportate a firma di Ennio Flaiano e, non a caso, contenute in una sua recensione di “O di uno o di nessuno” di Pirandello (Lo spettatore addormentato ,Adelphi,p 37) sono affiorate in me come esigenza di viva protesta a difesa del vituperato Teatro, del vituperato Pa' e della sua produzione drammatica ancora oggi poco compresa e soprattutto superficialmente studiata.
Escludo da quanto seguirà la grazia di Manuela Kustermann unica àncora di salvezza di un lavoro naufragato sin dai primi minuti, che mi ha “imposto” per il suo volto così bello ed espressivo vividamente impregnato di storia del teatro, di rimanere in sala quando il bandolo della matassa era stato ormai completamente smarrito...o forse non è mai esistito!
Senza, come si suol dire, né capo, né coda la nuova versione di “Pilade” si è distinta per un solo merito:aver tenuto desta l'attenzione degli spettatori che fino alla fine, eroicamente, nella speranza di districarsi in un dedalo (quasi impossibilitato ad esistere giacché vuoto) si sono interrogati sullo strano evento visto in sala.
Inoltre mai come in questo caso le note di regia si sono rivelate indispensabili per tentare di discutere dell'operazione esecrabile non per il risultato, sia ben chiaro, ma per il percorso che lo precede e origina, estremamente-sembrerebbe-abbozzato, falsamente ringiovanito, insuperbito dalle certezze di apprezzamento che un testo di ferro quale la prima tragedia pubblicata da Pasolini senza dubbio potrebbe assicurare, da quando perdonata, tollerata, esaltata la sua diversità intellettuale, morale, comportamentale non vi è uomo o donna che non annuisca rapito da un desiderio di fresca contaminazione al sentir pronunciare la magica triade della lettera P.
Davanti a noi, le pagine del Manifesto per un nuovo teatro di parola , e le differenti versioni del Pilade, manifesto politico e poetico, scritto e riscritto , negli anni che separarono Pasolini dalla sua morte.[...]Si è molto lavorato sulla riduzione del testo, per portarlo alla sua essenza-tenendo conto delle scritture e riscritture compiute dallo stesso Pasolini . [...]Ho lasciato ad altre esperienze l'idea di un teatro di regia. Per me la regia è sempre stata, semplicemente, la cura , con in più l'onestà (culturale) e la passione - e la nostra formazione ci ha sempre portato ad altre terre.
L'ultima affermazione di Bruno Venturi è davvero illuminante per chiarire come mai gli attori in scena sembrassero di volta in volta sempre meno consapevoli di ciò che stavano recitando, del lirismo, della poesia, della musica delle parole pasoliniane mai riportate da loro al pubblico legando questi elementi a corpi che da statici per rompere la monotona ed allucinata esposizione delle vicende fuggivano improvvisamente a destra e a manca senza motivazione alcuna mescolando gesti e parole farfugliati in una confusione avvilente.
La regia non è semplicemente la cura , con in più l'onestà (culturale) e la passione, giacché portare/mettere in scena un'opera significa rispettare il sacro luogo su cui l'attore agisce e parla: il privilegio che il salire sulle assi di legno dovrebbe regolare con sapienza questioni di prossemica e bilance sembrano essere state completamente abolite con il risultato della completa perdita di consistenza individuale e collettiva...eppure esistono per una ragione non ascrivibile ad una scelta stilistica o pedagogica, né a particolari metodologie avanguardistiche, bensì alle leggi connaturate al paradosso (in senso diderottiano) perpetuato ad ogni replica.
Ogni oggetto va impiegato sia anche soltanto per il compito connotativo nei confronti di un personaggio, ma non può malamente essere dimenticato, adagiato, lanciato senza la precisione matematica che in scena l'azione coincida con una presunta naturalezza ovviamente ricostruita. Tutti gli elementi sono note di numerose partiture ritmiche che eseguite correttamente da strumenti umani ossia gli attori riuscirebbero a creare un ritmo,quello della vita del dramma da veicolare in platea.
In “Pilade” la profondità dello stupendo palco occupata a destra da un trono e a sinistra da una serie di gradinate in modo da lasciare un corridoio largo per i monologhi dei protagonisti presuppone una buona capacità di ascolto nella vastità, nella nudità che circonda i corpi ancora vivi tra cui quello di Antonio Piovanelli nel ruolo di Oreste, di Oreste Braghieri alias Pilade, ed infine di Manuela Kustermann nelle vesti ora di Elettra, poi delle Eumenidi ed Atena.
Se alcune soluzioni hanno destato un certo interesse quali l'apertura a sorpresa del sipario con un'immagine di saluto mélo della Kustermann ritenuta dal pubblico un monito al chiacchiericcio pre-spettacolare o la sequenza di movimento nel ruotare a terra il corpo compiuta dal servo ad intervalli precisi del discorso di Oreste ed ancora le musiche per potenziare ed universalizzare la tragedia, passi tardi e lenti, camminate inconsistenti, traiettorie casuali,movimenti maldestri, luci troppo forti a colpire davvero gli occhi degli attori costretti a ripararsi contorcendo il viso si sono tradotte in orribili sguardi verso il fondo per andare a cercare il trono (fermo sempre nello stesso punto) su cui sedersi. Inoltre i tre cambi di scena giunti bruscamente e fragorosamente udibili nel buio, svelavano quel misticismo che la minima sebbene astratta contestualizzazione aveva innescato e pertanto il rientro in una nuova dimensione sembra essere priva di senso unitamente a gesti che aspirerebbero ad essere codificati , portatori di significato secondo la lezione di Pina Bausch, privi purtroppo di un'analisi alla fonte della loro concezione.
Gli effetti sono figli delle cause, intrinsecamente: i primi poco speciali al contrario di natura posticcia come la terra cosparsa simbolicamente sul palco, l'ampliamento della voce di Elettra con tanto di microfono ed eco lasciando i suoi panni per vestire quelli di un altro personaggio femminile caricano eccessivamente la messinscena la cui comprensione si affida quanto al testo recitato solo all'italiano della Kustermann, giacché fallimentare è risultato l'esperimento glocal così descritto:
E ci interessavano ,ancora, questi incontri di corpi, di singolarità, in un costante e reciproco rapporto pedagogico -ecco perché quattro stili recitativi diversi, e quattro cadenze , quattro varianti locali della stessa lingua.
Se nella tragedia di Pasolini dotata di estrema linearità, Oreste è identificabile con un moto continuo verso il futuro, Pilade, al contrario anela ad una ritorno alle origini, addirittura allo stato di feto nel ventre materno; purtroppo lo spettacolo non va ahimé da nessuna parte e perde l'obiettivo di omaggiare un poeta “come ne nascono di pochi” secondo le dichiarazioni commosse di addio espresse da Alberto Moravia nel 1975.
Rientranti come da quinte di nuovo le parole di Flaiano: Ecco un bell'apologo che gli spettatori scontenti dovrebbero meditare, anche per convincersi che il cosiddetto divertimento non è mai distribuito in parti eguali e che se , qualche volta , nei teatri succede che il pubblico non si diverte, il fenomeno va considerato come una prova dell'equilibrio universale; perché verosimilmente , in quei casi , sono gli attori che si divertono.
In “Pilade “ tuttavia dove il riso non ha spazio tranne che per venature di beffarda ironia, mi auguro non si sia compiuta la citata “profezia”.
PILADE
da Pier Paolo Pasolini
con Antonio Piovanelli, Manuela Kustermann, Oreste Braghieri, Salvatore Porcu.
Scene e costumi del Pittore Lino Frongia
regia Bruno Venturi
produzione TSI La Fabbrica dell’Attore e La Nuova Complesso Camerata