
Assistiamo, oramai, ad un ricorso a Brecht ripetuto e accorato. Siano esse rivisitazioni ardite, o versioni più fedeli alle opere del pungente drammaturgo tedesco, il teatro didattico ritorna in auge. Non ci si dovrebbe stupire: l’approccio sociologico serve, soprattutto in periodi di parziale o totale amnesia storica. «Quando si vuole scrivere la verità su certe condizioni deplorevoli, bisogna scriverla in modo che se ne possano riconoscere le cause evitabili» sottolineava Brecht. In quattordici scene, allora, l’ascesa di Hitler era spiegata al mondo capitalistico, che vedeva nell’America la sua naturale icona.
La Berlino degli squadroni nazisti è traslata nella Chicago del proibizionismo, dove un trust del commercio agroalimentare si arricchisce con l’appoggio (o il giogo) del gangster Arturo Ui. Il parallelismo tra la corruzione tedesca e l’avidità della neoborghesia americana continua e si rafforza, in uno scenario caricato da simbolismi culturali: tutto è bianco-rosso-blu e stelle-e-strisce, in scena si suonano sax e fisarmonica e si balla il jazz.
Le cause della rovina tedesca (e della coeva Chicago) sono esplicitamente collegate al bieco capitalismo, al troppo libero commercio, alla mancata capacità di assorbimento della produzione, all’autarchia, altrimenti resa nella massima cinica “Ognun per sé e Dio non c’è”.
Il registro grottesco trova naturale sostegno nel musical paillettato e nei costumi di Gianluca Sbicca, a metà tra doppio petto e divisa militare. Efficace il climax posto nell’epilogo circense, dal sottile equilibrismo, sia lirico che plastico, con tanto di attore acrobata in giarrettiera. Brecht sferza e ridicolizza, perché «i grandi delinquenti politici vanno denunciati, esponendoli soprattutto al ridicolo. Giacché essi anzitutto non sono grandi delinquenti politici, bensì autori di grandi delitti politici, il che è assai diverso». Fin qui Brecht. Claudio Longhi ha potenziato l’allegoria, coadiuvato dal dramaturgo Luca Micheletti: senza quinte, lo spazio scenico sembra un magazzino, col boccascena disseminato di cavoli (i soldi), trasportati da cassette di plastica, impilate come al mercato, accorpate a costruire grattacieli, Empire State Buildings in scala.
Le musiche originali di Osalla, coi testi tradotti sapientemente da Mario Carpitella, fanno cortocircuito con Broadway; lodevoli anche gli arrangiamenti di Olimpia Greco, in scena con la fisarmonica. Il cast è ben oleato; una conferma Umberto Orsini-Ui, versatili e vocalmente dotati Lino Guanciale-Roma (Ernst Röhm) e Luca Micheletti-Givola (Goebbels), notevoli anche Ivan Olivieri e Giorgio Sangati.
La messinscena è affiancata da laboratori drammaturgici/performativi condotti, in mattinata, sotto il tutorato di alcuni membri della compagnia. Gli studenti degli istituti medi superiori romani coinvolti nel progetto si cimenteranno, a maggio, in una rilettura del copione brechtiano, ben contestualizzato nel panorama culturale degli anni Venti e Trenta del Novecento. Genuina mission pedagogica del teatro, dunque. Non è un caso che Edoardo Sanguineti avesse accettato di approfondire una nuova versione italiana del testo di Brecht. Purtroppo non ce n’è stato il tempo, il poeta ligure è scomparso lo scorso 18 maggio, ma “La resistibile ascesa” è tutta dedicata al neorealista postermetico del “piccolo fatto vero”.
Teatro Argentina
Largo di Torre Argentina, 52
Roma