“Precari dentro” in scena a New York

14/10/2011

Maria Vittoria Solomita da tempo sta dall’una e dall’altra parte della barricata del mondo del teatro: nella critica per molte testate giornalistiche, tra cui “Quarto Potere”, e come autrice di testi (“Il lavoro, se lo visualizzi, lo trovi”, “E’ ora di dire basta!”, scritto con Sabrina Paravicini per la regia di Rinaldo Felli, e una raccolta di brevi racconti comici, tutti “teatralizzabili”, dal titolo “Letture Stimolanti”). Allo stesso modo si divide tra Roma e New York, dove approfondisce lo studio dei format TV. E proprio a New York, al Theater of the New City dove si è celebrato il 150° anniversario dell’Unità d’Italia con una rassegna di lavori teatrali di giovani autori italiani, a fine settembre è andato in scena un suo testo, "Precari dentro-instabili a progetto".

Avere un lavoro teatrale in scena a New York non è cosa che capita a tutti. Come è  nata la cosa? Come hai vissuto questo “sogno americano”?
Scrivo di teatro da qualche anno, recensisco spettacoli per cui bazzico, più che i palchi, le poltrone rosse da un po'. Lo scorso anno mi ero trasferita a New York per lavoro (e poi per studio). Il direttore di un giornale col quale collabor(av)o insistette perché, prima di partire, conoscessi il drammaturgo Mario Fratti, l'autore di Nine! Gli sottoposi alcuni miei lavori: i testi lo entusiasmarono. E, appena possibile, ne ha portato uno nella "sua Terra", New York. Una splendida combinazione e un meraviglioso mentore.
Raccontaci la serata newyorkese e l’emozione di essere sul palco
Sul palco c'era un mio copione, c'erano i miei personaggi. E' un'emozione unica. Mi sono divertita ascoltando il pezzo e ne ho potuto studiare i tempi, ma, forse, il ricordo più bello è legato alle parole con cui hanno presentato me e, soprattutto, "Precari dentro". Mario Fratti ha il classico approccio da professore americano, per cui mi ha trascinata letteralmente sul palco, sotto i riflettori, per dar modo al pubblico di pormi delle domande. In Italia sarebbe stata una conferenza stampa fuori programma!
Tu stessa definisci il tuo testo “Atto unico sulla precarietà che i giovani incontrano, oggi, non solo in ambito lavorativo, ma anche nel privato, con dimensioni interpersonali non sempre facili da inquadrare ed identità sessuali non a tutti chiare”. Parlacene di più. Come è nata la prima idea e come l’hai sviluppato?
Il primo nucleo è nato proprio a New York: nel bene e nel male, la Grande Mela ti segna. Sei in perenne contatto con tutte le culture del Mondo e hai una rappresentanza dell'intera umanità, dal più abbiente al senzatetto. Ho pensato inizialmente ad una fiction seriale in pillole con 4 personaggi centrali, i "precari" del titolo, perché sì alla ricerca di lavoro, ma, soprattutto, instabili interiormente, con domande esistenziali forti, che alcuni rivolgono alla religione, altri alla filosofia.
Ero intenzionata a scrivere il pilota di una serie TV, poi ho virato verso un atto unico teatrale, perché l'esperienza è diversa, la sala di un teatro dà modo di riflettere, di ascoltare, di ragionare. Il tema è di grande attualità, per cui spero di poter portare i "Precari dentro" anche in Italia.
Hai vissuto un anno a contatto con le realtà culturali newyorkesi. Come hai trovato l’ambiente, i nuovi talenti, le opportunità? Immagino che il confronto con le realtà italiane sia schiacciante...
Consiglierei a tutti un anno a New York perché l'esperienza ti matura: sei solo, lontano da quelli che reputi i punti di riferimento solidi. "La città che non dorme mai" continua a tenerti sveglio coi suoi input, di qualsiasi tipo. Poi sta alla sensibilità del singolo decodificare i messaggi. Io sarò controcorrente, ma preferisco, nonostante tutto, l'Italia. Sono già stata costretta una volta ad andarmene, non vorrei dover ripetere la scelta. Eppure, ritornando a New York, mi sono sentita stranamente a casa...

Gabriella Aguzzi