Cyrano di Bergerac

07/03/2012

Un Cyrano non sconciato dal naso. Si potrebbe discutere a lungo su questa scelta registica che caratterizza la più recente versione della celeberrima opera di Rostand, da ieri sera fino al 18 marzo in scena al Teatro Nuovo di Milano. Se da un lato tutto il dramma di Cyrano verte su questa deformità, rendendolo donchisciottesco eroe relegato a parlare d’amore nell’ombra attraverso la bellezza del rivale Cristiano, dall’altro lo spettacolo di Alessandro Preziosi, che ne regge l’intera mole sulle proprie spalle in doppia veste di regista e interprete, non ricorre all’artificio del naso posticcio lasciando l’aspetto grottesco all’ immaginazione dello spettatore. Forse l’intento è quello di farci vedere la vera bellezza interiore di Cyrano, ma di questo passo, spogliando la messa in scena di ogni orpello, potremmo rappresentare un Otello che non è moro e via discorrendo, senza contare che agli spettatori risulta arduo credere come un Cyrano interpretato da Preziosi possa apparire risibile allo sguardo e alle pretese d’innamorato e che gli si preferisca un ben più opaco Cristiano.
La seconda scelta registica è quella di mettere in risalto l’aspetto più vitale e guascone di Cyrano, quello smargiasso, ironico, aggressivo, di chi non china mai il capo ed ama battersi quanto più la vittoria è incerta, prediligendolo al lato malinconico che tanto era stato esaltato dal grande Gérard Dépardieu nella versione cinematografica del '90, forse il Cyrano più struggente e indimenticabile. Cyrano di Bergerac è entrambe la cose: è la furia esuberante, indisciplinata ed autoironica del primo atto ed è l’eroe romantico che lascia parlare il suo cuore innamorato per bocca di un altro, è l’ignoto che scrive versi mentre altri colgono il bacio della vittoria, è l’uomo venuto dalla luna e che alla luna fa ritorno, troppo ingombrante e stonato per questo mondo.

Preziosi preferisce mettere l’accento sul lato comico ed offre dei grandi assolo iniziali in tutte le possibili variazioni. Ne sfuma un poco, invece, la profondità, ed anche questa è da considerarsi una scelta. La traduzione di Tommaso Mattei mantiene la ritmica alessandrina là dove il gioco dei versi diviene protagonista, senza imbrigliare gli attori nelle rime in altri passaggi, facendo così coesistere poesia e prosa nell’alternarsi delle emozioni.
Su una scenografia di scale, palchi e balconi che in pochi tocchi si trasformano nella finestra di Rossana, nel campo di battaglia dell’assedio di Arras o nel giardino del convento (le scene sono di Andrea Taddei, i costumi di Alessandro Lai e le luci di Valerio Tiberi) Preziosi veste con esuberanza tutti gli aspetti del suo multiforme personaggio, senza mai un calo di tensione. Non altrettanto, ahimé si può dire dei comprimari, con l’aggravante della scelta di un attore non di lingua italiana nel ruolo del bel Cristiano (Benjamin Stender) e di giovani attrici nei panni dei cadetti di Guascogna.

Gabriella Aguzzi