Fascino di Bohème

10/10/2012

Il fascino è intatto. E’ come essere tornati a ritroso nel tempo. La stessa rappresentazione storica che debuttò sul palcoscenico del Teatro alla Scala con la regia di Franco Zeffirelli nel ‘63 e a cui assistetti, con lo stupore incantato di bambina, nel ’67. La Bohème, l’opera tra le più dolci e struggenti di Giacomo Puccini, che trasferì il melodramma dai luoghi esotici e dal sangue della tragedia ad una dimensione più intima e poetica, a quella Parigi di artisti con pochi soldi e tanti sogni, quella bohème del titolo cornice di un amore romantico, ritorna alla Scala nella stessa messa in scena dopo 50 anni (allo storico debutto dirigeva il grande Von Karajan) e dopo aver riscosso applausi in tutto il mondo. Primo quadro: la soffitta, l’incontro tra il poeta Rodolfo e la fioraia Mimì, la “gelida manina” stretta al buio. Il sipario si riapre sulla sera della Vigilia al Quartiere Latino dove la regia di Zeffirelli dà vita ad un quadro variopinto e festoso e i costumi di Piero Tosi appaiono in tutta la loro magnificenza: la scenografia su due piani gremita da un viavai di giocolieri e venditori riporta nel cuore di una Parigi agli albori del Secolo scorso riaprendosi sulle porte di un caffè per dar spazio agli screzi amorosi tra Marcello e Musetta. E poi ecco la dolcezza infinita del terzo atto, la scena ammantata di neve al di là della cancellata nel velato grigiore mattutino, passano i doganieri, gli spazzini, i carrettieri, le contadine: Mimì è malata e i due innamorati sono costretti a lasciarsi perché lei abbia le sue cure, mentre il litigio tra Musetta e Marcello fa da contrasto al loro accorato duetto. Si torna infine nella fredda soffitta, dove era sbocciato l’amore e dove Mimì torna a morire tra le braccia di Rodolfo.
Il fascino della Bohème è quello di un’Opera quotidiana, che vive di piccole cose e gesti, del contrasto continuo tra spensieratezza e lirismo, al suo centro c’è un amore tragico ma non eroico, la sua tragedia è quella dello spezzarsi delle illusioni della giovinezza contro la miseria della realtà, e anche il libretto di Illica e Giacosa alterna un linguaggio aulico ad un dialogare comune. Puccini la compose traendo il primo spunto da Scènes de la vie de Bohème, romanzo di Henri Murger pubblicato a puntate a metà Ottocento, battendo sul tempo Leoncavallo che aveva avuto la stessa idea di farne un’opera, e trasferendovi tutta la sua sensibilità.
Alla rappresentazioni di lunedì 8 ottobre dieci minuti incessanti di applausi hanno salutato gli interpreti, lo straordinario Vittorio Grigolo nel ruolo di Rodolfo e la splendida Angela Gheorghiu nel ruolo di Mimì (nelle repliche Angela Gheorghiu e Vittorio Grigolo si passano il testimone con Anna Netrebko e Piotr Beczala), Ellie Dehn che è una sgargiante e vitale Musetta a far da contrappunto alla mesta dolcezza di Mimì, Fabio Capitanucci, Massimo Cavalletti e Marco Spotti che sono il pittore Marcello, il musicista Schaunard e il filosofo Colline. Dirige il giovane Daniele Rustioni. Uno spettacolo imperdibile in replica fino al 26 ottobre.

Gabriella Aguzzi