Der Ring des Nibelungen

28/10/2012

Per i 200 dalla nascita di Richard Wagner il Teatro alla Scala annuncia una Stagione che sarà inaugurata il 7 dicembre col Lohengrin per alternare opere wagneriane ad opere di Giuseppe Verdi, di cui pure ricorre il Bicentenario, e culminare a giugno con un progetto grandioso: Der Ring completo in una settimana, così come Wagner lo pensò e lo volle eseguire la prima volta nell’agosto del 1876, a modello per qualunque esecuzione futura. Poter assistere all’intera Tetralogia è un’occasione meravigliosa (a completamento delle due settimane wagneriane saranno proiettati anche Ludwig di Visconti e lo sceneggiato televisivo Wagner di Tony Palmer) ma in questo mese La Scala anticipa il Siegfried con la regia del belga Guy Cassiers e la direzione di Daniel Barenboim, la stessa messa in scena che vedremo a giugno accompagnata da Das Rheingold, Die Walkure e Gotterdammerung quale terzo capitolo del ciclo.
Nel corso dei decenni sul palco della Scala si sono succedute ammalianti regie delle opere della Tetralogia dei Nibelunghi, diverse tra loro per stile e fascino, dal Crepuscolo degli Dei del ’53, diretto da Heinz Tietjen, che portava grandiosamente cavalli sulla scena, al molto discusso allestimento di Luca Ronconi degli Anni 70 con trasposizione temporale e richiami ad una Germania tardo Ottocento, fino a Guy Cassiers che nel 2010 ha iniziato a portare in scena il suo monumentale progetto wagneriano.
Senza gli azzardi provocatori di Ronconi e senza gli orpelli tradizionali, Cassiers affascina con un Siegfried potente e al tempo stesso essenziale, nuovo per intuizioni scenografiche eppure primitivo: i costumi di Tim Van Steenbergen sono ruvidi giubbotti di pelle coperti di rozze pellicce, un ibrido di antico e nuovo che crea una dimensione fuori dal tempo, e le scene di Enrico Bagnoli danno vita ad un universo grigio perennemente mosso dalla magia delle luci, stagliato su uno sfondo che proietta i movimenti della foresta e dell’acqua e i cui riflessi si trasformano nelle fiamme della fucina e della rupe di fuoco e ancora nelle nude pareti di una grotta. Una scenografia quasi nuda su cui giocano le luci, che lascia trionfare la potenza della musica.
Il sipario del primo atto si apre sull’antro del viscido Mime (l’applauditissimo Peter Bronder), una piattaforma di griglie in cui il nano forgia i suoi metalli che, quando Siegfried rinsalderà i frammenti di Nothung, l’invincibile spada di suo padre, si leverà creando porte, anfratti, cunicoli, luci al neon. Una tremolante e luccicante foresta di drappi si risveglierà nel secondo atto col mormorio del mattino in cui si alzerà il canto gentile e misterioso dell’Uccellino (la splendida voce di Rinnat Moriah) e anche questa si leverà con le sue magiche ombre per lasciar apparire la grotta del Drago Fafner, una figura informe resa dal confuso agitarsi di un velo (più discutibile, registicamente, il numero dei danzatori che animerà la scena successiva) e infine, nel terzo atto, la caverna in cui Wotan interroga Erda lascerà il posto al muro di fuoco attraversato da Siegfried e lo svanire dei bagliori rossastri scoprirà la rupe su cui la Walkiria Brunnhilde dorme i suo sonno incantato in attesa dell’eroe che la ridesti e da questo momento la scena sarà tutta loro per il lungo, splendido duetto dell’innamoramento.

“Sai quando Siegfried trema per la prima volta? Quando vede una donna” dice Ludwig a Sissi nel film di Visconti mentre le musiche di Wagner avvolgono la scena. La bellezza della storia di Siegfried, l’eroe puro che non conosce la Paura, ha qui la sua forza. La giovanile baldanza ed esuberanza, anche la sfrontatezza del giovane eroe fa da contrasto alla vile codardia e alla perfida astuzia del nano, che l’ha cresciuto per l’avidità di impossessarsi del tesoro di Fafner, e ai dubbi tormentati di Wotan. Ma Siegfried brama di provare questo sentimento a lui sconosciuto. E’ perché non conosce la Paura che può forgiare la magica spada, che in mano sua l’Anello maledetto da Alberich perde il suo terribile potere. Eppure l’ardore di Siegfried è oscurato dalla malinconia di non sapere, dalla nostalgia per genitori mai conosciuti, di cui è ignaro, per aver appreso solo gli insegnamenti del Nano. Ed è per conoscere la Paura che viene spinto alla grotta di Fafner, ma il Drago non lo intimorisce e Siegfried è spronato dal suo stesso nemico a dargli la morte (“Ora hai Nothung nel cuore!”). Ma quando vede Brunnhilde trema, quel tremito che neppure la vista del Drago ha saputo dargli. E crede che l’amore sia paura. Siegfried e Brunnhilde si amano ma sono confusi. Lei ama l’eroe che l’ha destata, che aveva sempre atteso, eppure è adombrata dal rimpianto per la sua perdita vita di guerriera, non più Walchiria ma donna.
La musica di Wagner raggiunge qui livelli sublimi. E, come per l’attraversamento della rupe di fuoco, alterna la potenza trascinante ed eroica al quietarsi nella dolcezza.
Nina Stemme è una Brunnhilde il cui risveglio porta una radiosa freschezza vocale, Terje Stensvold è Wotan, o il Viandante poiché si presenta a Mime e a Siegfried sotto questo sembiante, e il tenore canadese Lance Ryan è un magnifico Siegfried carico di vitalità e prepotentemente in scena per tutti i tre atti, con un’alternanza vocale che passa dall’ardore alla dolcezza.

Una curiosità. La Saga dei Nibelunghi è rivissuta anche alla Cineteca Spazio Oberdan, nell’ambito del Festival del Cinema Muto e della rassegna dedicata a Fritz Lang, con una chicca cinematografica quasi introvabile: I Nibelunghi di Fritz Lang, del 1924. Diviso in due parti (La Morte di Sigfrido e La Vendetta di Crimilde) e proiettato con accompagnamento musicale dal vivo al pianoforte, presenta una diversa versione della leggenda. Qui l’eroe, reso invulnerabile dal sangue del drago, in cerca di nuove avventure sposa Crimilde sorella del Re dei Burgundi e conquista per lui Brunnhilde, la quale gli giura vendetta per essere stata battuta e tesse un inganno per vederlo morto. Nella seconda parte Crimilde sposa Attila Re degli Unni per spingerli alla vendetta contro gli assassini.

Gabriella Aguzzi