Il Discorso del Re a Teatro

25/10/2013

Un testo teatrale intenso e perfetto, la sempre affascinante regia di Luca Barbareschi e due straordinari interpreti in stato di grazia fanno di “Il Discorso del Re”, in scena a Milano al Teatro Parenti fino al 3 novembre, una delle messe in scena più belle che ci è stato dato di vedere a teatro negli ultimi anni.
Con Barbareschi si gioca sul sicuro e nei suoi 40 anni di teatro ci ha sempre regalato splendidi personaggi e scelte teatrali tra le migliori del nostro panorama. Nessuno stupore che ci regalasse, nella sua versione appassionante, divertente e anche un po’ scanzonata, un testo splendido come quello di David Seidler, a noi noto per la versione cinematografica vincitrice di Oscar, ma nato per il teatro e che a teatro ritorna con quel qualcosa in più che il Cinema gli aveva levato. Che è quel tocco ironico, quella leggerezza che si stempera nei momenti di maggior tensione ed afflato, quella capacità di passare dalla commozione al sorriso e viceversa. Concentrate soprattutto nel personaggio cialtrone, eppure dolorosamente umano, del logoterapista Lionel Logue, attore fallito, audacemente informale, sensibile conoscitore delle paure.
“E’ la più bella occasione per un attore interpretare un dissociato mentale e interpretando un attore fallito ho potuto usare questo gioco di essere in molte realtà parallele, irresistibile per chi fa questo mestiere un po’ per matti e si sente sempre addosso un terzo occhio che ci guarda da fuori. E poi era un testo puntato sulla parola e la sua importanza e una meravigliosa storia di amicizia. Bastavano questi tre elementi a conquistarti” dice Barbareschi.
E’ lo stesso David Seidler, ospite d’onore a Milano per la Prima dello spettacolo, a sottolineare come la messa in scena teatrale restituisca ciò che nella celebre e pur impeccabile versione cinematografica si era smarrito. “Il testo teatrale è molto più politico del film. Il regista non voleva fare del teatro filmato e ha quindi eliminato delle parti e se queste scelte erano giuste per il film non lo erano per il mio cuore. L’altro elemento che aveva levato, perché temeva che il film non venisse preso sul serio, e che qui ho ritrovato è lo humor. George Bernard Shaw dice che se vuoi trasmettere un messaggio serio devi rivestirlo di umorismo”.
Così ecco che Churchill, l’Arcivescovo di Canterbury e il Primo Ministro Baldwin appaiono, come li descrive l’Autore, “come un incrocio tra un coro greco e i vecchietti dei Muppet”.
Con rapidi cambi di scena e slittamenti di pannelli la regia, dal taglio cinematografico, sposta l’azione da Buckingham Palace allo studio di Logue, dai provini teatrali a Westminster, lasciando scorrere il background storico in filmati, per concentrarsi nuovamente sui due protagonisti e lasciar scaturire tutta la forza e la tensione dei loro incontri, in un crescendo di intensità.
Barbareschi si alterna in gara di bravura con uno strepitoso Filippo Dimi nel ruolo del Re balbuziente. Represso, iroso, malinconico, Dimi offre un’interpretazione da standing ovation, alternando una balbuzie incerta, accentuata o quasi invisibile secondo gli stati d’animo. “Un uomo dalla personalità forte e prepotente, innamorato del suo popolo, che si nasconde dietro l’aspetto fragile e sfortunato” lo definisce l’attore.
“E’ una rappresentazione molto italiana – dice ancora Seidler – Le caratteristiche di una nazione si riflettono negli allestimenti. Qui vedete un Re sensibile, insicuro, ferito, ma molto italiano. Luca mi ricorda le maschere veneziane, interpreta i due aspetti del personaggio, comico e tragico, in Germania Lionel Logue era rappresentato come Sigmund Freud, in Finlandia era molto nordico. In Giappone avevo suggerito di trasformarlo nel Discorso dell’Imperatore, con un logopedista coreano. Mi affascina vedere come un testo si trasformi”.

Su Cinema e Teatro si potrebbe discutere per ore.
“Dopo il successo del film si è tornati a produrre Il Discorso del Re a teatro, ma film e spettacolo sono due animali diversi – racconta David Seidler con il suo splendido accento inglese, Oscar alla Sceneggiatura – Al Cinema regista e montatore ci dicono cosa dobbiamo guardare, ci mostrano le riprese scelte. Ogni sera a teatro è diversa, c’è il pericolo che l’attore non stia bene e dimentichi le battute importanti, lo spettacolo cambia anche secondo il posto del singolo spettatore, la percezione di ognuno è diversa, il teatro è una cosa viva e per questo lo ritengo affascinante. La nostra è un’epoca digitale, dove tutto è digitale fuorché il Teatro, che ci riporta alle epoche primitive: siamo in una camera dove i sacerdoti compiono i loro rituali creando un’esperienza meravigliosa e magica. Forse non è il modo migliore per guadagnarsi da vivere, ma è grandioso”
E a proposito del linguaggio teatrale al Cinema e del linguaggio cinematografico a Teatro Seidler aggiunge “Purtroppo ci sono pochi Polansky, vorrei che ce ne fossero di più! Purtroppo a Hollywood vediamo solo alieni e vampiri. Il discorso ovviamente è diverso per i film indipendenti  e i film europei che però non hanno più distribuzione negli USA e lo spazio per i film europei, asiatici e sudamericani si è ridotto. Il teatro è diventato più cinematografico, ma non tutte le tecniche cinematografiche funzionano a teatro e spesso si cade in una serie di tentazioni come i troppi cambi di scena: ma se lo spettatore resta al buio troppo a lungo si distrae comincia a pensare a dove ha parcheggiato la macchina e ad altre cose e si perde il feeling. Poi ogni tanto trovi i film che hanno un’impronta teatrale, come quelli di Baz Luhrman o proprio Il Discorse del Re, dove hai due attori che parlano per 10 minuti. In questo credo di aver fatto una cosa sperimentale!
Conclude Barbareschi “Il Teatro è rimasto un posto di celebrazione di un rito, di uno scambio di emozioni. In teatro non puoi girare il primo piano, c’è una sola lente, un solo punto di vista, e allora per creare quell’intermittenza del cuore, per dirla proustianamente, devi creare l’illusione del primo piano, degli stacchi con la camera fissa e quindi hai bisogno di una gran struttura. E’ importante la scelta dei vocaboli e anche la semplificazione dei vocaboli ha la sua gran portata,  soprattutto ci vuole la capacità di portare dal pianto al riso in pochi secondi, la capacità di portare il pubblico per mano in un altro mondo con una parola.”
Tutto questo lo ritroviamo con “Il Discorso del Re”, uno spettacolo assolutamente da non perdere.

Gabriella Aguzzi