Sere magiche all’Arena di Verona: Madama Butterfly e Aida

03/09/2014

Quando le mura dell’Arena di Verona si illuminano e il buio cala nel cielo e in platea, quando un momento di immoto silenzio precede l’ingresso dell’Orchestra e del Direttore, miriadi di lumini si accendono sugli spalti, come da tradizione, un rito che si rinnova ogni sera e che ogni sera serba intatta la sua magia. Lumini che tremolano nella notte in un muto ondeggiare, ad accompagnare e salutare i primi accordi. Poi un altro incantesimo si accende là, sul palco.
Cento anni più uno di spettacoli lirici all’aperto, ogni estate, nella cornice unica dell’anfiteatro romano. Cento anni più uno di allestimenti grandiosi e di grandiosa tradizione. A celebrarli, quest’anno, una messa in scena della Carmen a 100 anni esatti dalla sua prima rappresentazione su questo palcoscenico. Nel Calendario dell’Arena che accosta i Grandi Classici della Lirica (quest’anno due Verdi – L’Aida in due diverse regie e la novità di Un Ballo in Maschera – e due Puccini , La Turandot e la Madama Butterfly, entrambe con la regia di Zeffirelli) si susseguono negli ultimi giorni di Cartellone, a sere alterne, Madama Butterfly e Aida. Tanto intimista una, quanto trionfalista l’altra. In una lo struggimento dell’attesa, lo strazio dell’abbandono che si fanno palpitanti in una malinconia sommessa e accorata. Nell’altra la passione, la gloria, la conquista, il dilemma tra fedeltà alla Patria o all’Amore, esaltati dall’opulenza di messe in scena spettacolari. La dolcezza infinita di Puccini contrapposta agli ardori di Verdi.
Profondamente diverse sono le due protagoniste, pur travolte dall’amore per un dominatore. Il suicidio di Butterfly è l’accettazione della sconfitta, quando crolla l’unica illusione e ragione di vita. La morte volontaria di Aida è l’affermazione della sua violenta passionalità, nel vortice di una sciagura da lei stessa causata. E’ affascinante il contrasto tra le due Opere ed è affascinante viverlo in questo scenario unico.

E’ sempre un momento magico il Coro a Bocca Chiusa della Madama Butterfly, un momento che arriva dritto al cuore e strappa il pianto, tale è la sua bellezza. Forse uno dei momenti più alti mai raggiunti dalla Musica. Se si dovesse fare un elenco delle “cose per cui val la pena vivere”, come nel finale di “Manhattan”, il Coro a Bocca Chiusa sarebbe uno di questi. Ascoltarlo poi nello scenario dell’Arena di Verona, magico già di per sé, è qualcosa di indescrivibile. La scenografia di questo Giappone immaginario si chiude sulla casa di Cio-Cio-San per lasciare il posto ad un mare di ombre. E nell’ombra fluttuano drappi ondeggianti, le vele della nave di Pinkerton che appare, o forse ali tremolanti di farfalle ferite. E intanto gli spalti sovrastanti si tingono di una triste luce crepuscolare.
Sono sempre un incanto le regie teatrali di Franco Zeffirelli. Chi scrive conserva un ricordo indelebile di una Bohème vista alla Scala nell’infanzia. E così è stata la Madama Butterfly all’Arena diretta da Marco Armiliato dove, alla bellezza scenografica, si aggiunge la splendida voce di Amarilli Nizza nel doloroso ruolo di Cio-Cio-San.
La musica di Puccini sottolinea ogni trepidante momento di questa giovanissima geisha, sposa ingenua ad un ufficiale americano, che vive nell’illusione di un ritorno mai appagato. E la Musica si fa battiti del cuore, emozione viva, malinconia struggente e dolcissima. Le arie più belle (“Un bel dì vedremo...”) tornano in sottofondo come presagi. Sullo sfondo la casa di Cio-Cio-San si accende del rosso sanguinante di un sole giapponese nella scena che accompagna l’harakiri sacrificale della protagonista.

L’Aida è un emblema per l’Arena di Verona. Vanta il record di 615 repliche per 54 Stagioni. E dopo l’Aida nell’Edizione del Centenario, quella realizzata lo scorso anno dalla compagnia catalana La Fura dels Baus per celebrare i 100 anni di spettacolo all’Arena di Verona in un allestimento futuristico, riproposta a luglio, nel mese di agosto l’Arena mette a confronto l’Aida nell’Edizione Storica del 1913, classicissima, indimenticabile, maestosa, con tanto di Sfingi, obelischi, palme e tutte le sontuosità di una messa in scena grandiosa. Ne ha curato la regia il veronese doc Gianfranco De Bosio ispirandosi con fedeltà assoluta alla storica rappresentazione del 10 agosto 1913 in un fine lavoro di ricostruzione.
D’altronde l’Aida vive di grandezze e di trionfalismi, di ridondanze, nulla è troppo, nulla è eccessivo, perché è Opera celebrativa per eccellenza. Mettere in scena Aida significa rendere omaggio al Melodramma stesso, in tutto il suo afflato. Le sue discordanti passioni, i conflitti dei suoi protagonisti, lacerati dal tradimento, sono immersi nell’opulenza di un Egitto conquistatore. Aida risponde esattamente a quell’immaginario del melodramma verso un mondo esotico fantasioso e vagheggiato, come del resto anche il Giappone di Madama Butterfly, ma in ben differente clima.
Purtroppo non ci è possibile recensire per intero lo spettacolo diretto da Fabio Mastrangelo che nella serata di domenica 31 è andato in scena con il tenore Fabio Sartori nel ruolo di Radamès, Giovanna Casolla nel ruolo di Amneris e l’appassionata Monica Zanettin nel ruolo di Aida poiché lo spettacolo è stato sospeso per pioggia dopo il primo atto. Abbiamo potuto ammirarne il potente allestimento scenico e la coreografia stupefacente di Susanna Egri, ma non abbiamo potuto aver modo di seguire lo scoppio delle passioni, la caduta di Radamès dall’esaltazione di eroe alla condanna come traditore, né di sapere se la fatalità del destino ineluttabile che avvolge i tre protagonisti, anime divise in due tra sentimenti opposti, avrebbe preso il sopravvento sull’opulenza degli effetti esotizzanti e sul clima di tripudio. Un altro spettacolo, naturale, ha avuto luogo, costringendo il pubblico a ripararsi nei meandri dell’anfiteatro, sotto il bagliore dei lampi. Un doloroso contrattempo, eppure uno scenario a suo modo suggestivo, come quei lumini che tremolano magici nella sera nel silenzio solenne che precede le prime note.

Foto Ennevi per gentile concessione della Fondazione Arena di Verona

Gabriella Aguzzi