
Giunge un momento, nella vita di ogni attore, in cui il desiderio di misurarsi con Shakespeare si fa prepotente. Massimo Ranieri ha scelto Riccardo III, personaggio che lo tentava già da vent’anni, e lo porta in scena nella sua mostruosità fisica e morale, nel fascino contorto e diabolico dei suoi macabri disegni, nella sua lucida crudeltà che gradualmente si trasforma in cupa follia assetata di potere e di sangue trascinandolo in un gorgo inarrestabile dove delitto chiama delitto. La sfida non è solo interpretativa perché Ranieri lo affronta anche nella regia, con scelte intriganti e vincenti. Senza temere il confronto con illustri predecessori, primo fra tutti Ian McKellen ma anche il recentissimo e sontuoso Riccardo Terzo di Alessandro Gassman, Ranieri, dopo una fortunata tournée, approda anche a Milano, al Teatro Nuovo, con una messa in scena sobria e al tempo stesso affascinante.
Il grigio predomina sul palcoscenico, tagliato da giochi di luce, dove una scenografia rotante imprigiona i protagonisti come in una torre, asserragliati dai loro intrighi e dall’incombere delle maledizioni. I riflettori li scrutano, trasformano quindi la scena nel bosco della battaglia percorso dal celebre grido “un cavallo, il mio regno per un cavallo”, le porte girevoli si stringono a stritolare il cadavere di Riccardo come per decapitarlo. I protagonisti, avvolti dal fumo delle sigarette, vestono l’eleganza sobria e incolore di inappuntabili smoking e di abiti da sera, che solo un manto e la corona regale vanno a impreziosire, ma senza cambiare il contesto storico dell’opera. Anche qui la regia non teme il confronto con il celebre Riccardo III cinematografico di Richard Loncraine, che però lo trasferiva in epoca nazista. Ranieri invece, seguendo la linea portata avanti da Kenneth Branagh, preferisce liberare la scena dai molti orpelli limitando la trasposizione ai costumi, senza che l’operazione suoni stridente (scene e luci sono di Lorenzo Cutuli e Maurizio Fabretti, i costumi di Nanà Cecchi).
Riccardo III è una delle opere più grandiose e complesse di Shakespeare, conta innumerevoli personaggi intrecciati tra loro in un’intricata trama di delitti, ritorsioni, tradimenti, dove l’ambizioso Riccardo condannato a rimirare la propria ombra compiacendosi della sua deformità non è il solo mostro. L’alleggerimento registico operato da Ranieri non è quindi solo scenografico. Aiutato dalla traduzione e dall’adattamento di Masolino D’Amico, “snellisce” la tragedia e la velocizza e l’ottimo cast di 16 attori lo affianca con un recitazione rapida, naturale, moderna. Evitando la doppia trappola di cadere nell’accademico o, per contro, nel grottesco – pericolo in cui spesso si incorre in Italia nel rappresentare Shakespeare – la regia di Ranieri è più accostabile a quelle apprezzate nel teatro inglese. Anche l’intermezzo comico, dove Riccardo si finge devoto per perseguire i suoi loschi piani, scivola con riuscita e gradita leggerezza, così come la scena di una Regina Margherita sconciamente ubriaca. Forse si accelera di troppo verso il finale, e alcuni tagli si fanno sentire (non si coglie che Elisabetta non cade vittima delle seduzioni di Riccardo, gli eserciti irrompono quasi improvvisamente, e non vi è traccia dell’incubo notturno prima della battaglia in cui Riccardo è tormentato dai fantasmi dei suoi delitti), ma è resa la frenesia forsennata di una corsa al Trono dove il protagonista è “talmente immerso nel male che una colpa lava via l’altra”.