L’Aida di William Friedkin
18/10/2015
“Ho scelto di mantenere le ambientazioni originali dell’Antico Egitto. Non sono d’accordo che si possa trasportare Aida in un contesto moderno. Inoltre proprio a Torino, sede del Museo Egizio. E mi è piaciuta l’idea di rendere omaggio con l’Aida alla riapertura di questo meraviglioso Museo dopo tre anni di lavori, offrendo al pubblico un allestimento registico nella sua versione originale e tradizionale”.
Parole di William Friedkin che al Teatro Regio di Torino regala le straordinarie emozioni di un’Aida sontuosa, vibrante di passione, splendida. Riprendendo l’allestimento di dieci anni fa, Friedkin non poteva rendere omaggio migliore alla riapertura del Museo che dopo Il Cairo vanta la collezione di antichità egizie più vasta del mondo e alla città che lo ospita.
Spettacolo imperdibile per gli appassionati di Verdi, della Lirica e del pubblico tutto, anche per i ragazzi che si avvicinano all’Opera per la prima volta e non ne scorderanno lo stupore, la meraviglia. La regia di Friedkin, nel segno della tradizione, è maestosa senza essere carica di orpelli, classica senza ridondanza, giocata sulle luci ed ombre che agitano i protagonisti e le loro passioni.
Perché l’incanto di Aida sta tutto nell’alternare trionfalismo e intimità, momenti grandiosi ad altri sommessi, la storia di un amore immortale all’epica della vittoria. Storia di ascesa e caduta, di tradimento e ribellione, di amore contrastato e impossibile (Aida è schiava, figlia del Re nemico, e Radamès è il condottiero eroico che ne ha sconfitto l’esercito) i cui protagonisti sono dilaniati tra sentimenti opposti, di solitudine e gelosia (Amneris, figlia del Re d’Egitto, innamorata senza speranza di Radamès che ne scopre il disperato amore per la schiava etiope). La musica di Verdi raggiunge vette eccelse e l’atto finale, con la tomba che si richiude sui due amanti mentre Amneris grida la sua inutile disperazione, è uno dei momenti più alti e spettacolari mai scritti per l’Opera.
L’allestimento di Friedkin al Regio ne coglie e restituisce pienamente lo splendore. Avevo già assistito a due precedenti versioni di Aida, quella diretta da Zeffirelli e la riproposta della storica messa in scena del 1913 all’Arena di Verona. Entrambe strabilianti e tese a rappresentarne la magnificenza. Ma questa Aida lascia letteralmente senza fiato. Proprio perché, per contrasto, è intrinsicamente “moderna” nel suo estremo classicismo. Perché lascia emergere la violenza e l’ardore delle passioni affidandole alla splendida voce di meravigliosi interpreti e alla magia ed eleganza di una scenografia che è al tempo stesso grandiosa e sobria (scene e costumi di Carlo Diappi).
Tutto è racchiuso nelle mura di Templi egizi, le cui statue e colonne, cambiando le loro posizioni e le loro ombre ad ogni mutar di scena, incutono la loro presenza sui protagonisti e gli eventi della loro sorte. Tutto è giocato sulla potenza delle luci (Andrea Anfossi) che si accompagnano ai dubbi e conflitti dei protagonisti sottolineandone gli stati d’animo, all’esaltazione della vittoria e all’ora cupa della morte. I tremuli riflessi d’acqua della piscina di Amneris, i cieli tempestosi che agitano l’incontro tra Aida e Radamès, combattuti tra il sogno della fuga e l’onta del tradimento, l’avanzare delle ombre sul sepolcro mortale esaltano la passionalità di un’opera sublime. Splendidamente resa dalle voci di Kristin Lewis e Anna Pirozzi, che si alternano nelle diverse date nel ruolo di Aida, Anita Rachvelishvili, Anna Maria Chiuri, Ekaterina Gubanova, le tre interpreti di Amneris, Marco Berti, Riccardo Massi, Massimiliano Pisapia, nel ruolo di Radamès, Mark S. Doss e Dimitri Platanias (Amonasro), Giacomo Prestia (il capo dei Sacerdoti Ramfis) e dalla Direzione di Gianandrea Noseda.
Gabriella Aguzzi