Qualcuno volò sul nido del cuculo

12/11/2015

Tutti ricordano “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, il film di Milos Forman ricoperto di Oscar con una delle più celebri interpretazioni di Jack Nicholson. Ebbene, dimenticatelo. Il film rivestiva della facile chiassoneria hollywoodiana il romanzo di denuncia agli ospedali psichiatrici che  Ken Kesey pubblicò nel ’62 dopo avervi lavorato come volontario. Molto più incisiva è l’opera teatrale che Dale Wasserman ne trasse 11 dopo e a cui il film si rifece, rispettandone la trama, ma senza renderne la profondità dolorosa.
Ancora più incisivo, almeno per la nostra sensibilità, è l’adattamento italiano di Maurizio Di Giovanni, che trasporta la storia in là di altri 11 anni, nell’ospedale psichiatrico di Aversa. Non cambiano solo i nomi (Randle McMurphy diventa Dario Danise), gli accenti dei personaggi, ma tutta la realtà rappresentata si fa più vicina e tangibile. La scena, appena si apre, ha tutto il triste squallore che accompagna i ricoveri ospedalieri e la partita di baseball diventa la Finale dei Mondiali ’82.
Ad aggiungere forza è la regia, bellissima, di Alessandro Gassmann, sempre vicino e sensibile a temi come la diversità, la privazione della libertà e il conflitto con il potere di cui la vicenda di McMurphy/Danise si fa metafora. Lo spettacolo di Gassmann, con gli attori del Teatro Bellini di Napoli, è approdato al Carcano di Milano e si rivela subito come uno dei lavori più notevoli della Stagione.
La naturalezza e la spontaneità di tutti gli interpreti, ormai rara a riscontrarsi sulla scena, ci fa oscillare tra la tenerezza del sorriso, l’amarezza e la rabbia: un quadro di pazienti affetti da diverse patologie e spaventati dal mondo di fuori che l’arrivo di Danise, piccolo delinquente ricoverato per evitare la galera, riporta piano piano alla vita. Sfrontato, vitale, inquieto, anticonformista, ribelle, Danise fa di quei derelitti vulnerabili la sua famiglia, riscuotendoli dall’inerzia in cui sono sprofondati e risvegliandoli dal passivo torpore in cui li ha confinati la paura. La sua è una lotta donchisciottesca contro l’ordine, il regolamento e la repressione, incarnati nell’algida ostinazione di Suor Lucia.
La potente regia di Gassmann mescola, come già in passato, meccaniche teatrali e cinematografiche, creando visioni là dove la scena si riscuote dalla staticità che la imprigiona. Alla fuga finale di Ramon, che chiude lo spettacolo con emozionante afflato, succedono i titoli di coda, anch’essi cinematografici, che presentano l’ottimo cast: Elisabetta Valgoi, Mauro Marino, Marco Cavicchioli,Giacomo Rosselli, Alfredo Angelici Giulio Federico Janni, Daniele Marino, Antimo Casertano, Gilberto Gliozzi, Gabriele Granito, Giulia Merelli. Nel ruolo di Danise uno splendido Daniele Russo, irruente, sfrontato, appassionato, che per nulla si rifà all’interpretazione di Nicholson, ma fa pensare piuttosto, in alcune sottolineature, a De Niro e fa del suo personaggio un ritratto personale e difficile da dimenticare.

Gabriella Aguzzi