l Teatro Ambra Jovinelli è di scena “Due partite”, testo più volte rappresentato, dopo la prima del 2006, trasposto al cinema tre anni più tardi da Enzo Monteleone e ora diretto da Paola Rota.
«Iniziando a scrivere la commedia, ho chiesto aiuto a un mio nume tutelare, Natalia Ginzburg, che mi aiutò molti anni fa a pubblicare il mio primo romanzo. Ho preso la sua prima perfetta commedia “Ti ho sposato per allegria”, l’ho messa accanto ai fogli bianchi, sperando che lo spirito anticonformista e ribelle che la animava possa abitare anche la mia.»
Dai fogli della Comencini sembra partire una voce flebile ma chiarissima, che porta una constatazione mista ad un augurio: di mamma ce n'è una sola, e per fortuna.
Abbiamo tutti una sola genitrice, vero, e come per le quattro protagoniste della pièce, difficilmente ce ne liberiamo. “Non se ne esce”, continua a ripetere una di loro. Quella femminile è una condizione ciclica, si rivede nel rapporto che la donna costruisce con se stessa, col proprio corpo e con due tappe vitali decisive: la nascita e la morte.
Le due generazioni messe a confronto, sul palco, portano i tratti somatici di Giulia Michelini, Paola Minaccioni, Caterina Guzzanti e Giulia Bevilacqua.
Se nel primo atto le quattro madri si radunano una volta a settimana per giocare a canasta, morigerate e cotonatissime nella mise anni '60, nel secondo atto il borghese soggiorno pastello lascia spazio ad un monocromo ambiente IKEA, con le quattro di nero vestite (a causa del lutto che ha colpito una di loro, rimasta orfana tragicamente come era avvenuto a sua madre. “E non se ne esce”, ipse dixit).
Le figlie sono visibilmente più febbrili e stressate delle madri, cariche del doppio compito di lavorare dentro e fuori casa, tutte “obbligate” ad una femminilità meno accessoriata e distesa. «Le donne sono madri anche quando non hanno bambini, è una condizione mentale. - ha detto Cristina Comencini - Avere un figlio è l’ultimo atto di generosità vera che ci è rimasto a livello di specie.» Si sviscera il tema della maternità, ancestrale croce e delizia della femmina di ogni specie; la maternità è vista come ostacolo alla carriera, o come sogno proibito, viene anche descritta come l'unico modo per riempire un vuoto (fisico e sonoro).
Quasi un testo politico, se non fosse che “Due partite” resta una commedia.
Il registro bascula tra il comico e il grottesco. Il testo della Comencini è caustico e in alcuni tratti sorprende, alla Almodòvar.
Passando dal ruolo di genitrici a quello delle rispettive figlie, le attrici cambiano fibra e modulano battute. Anche se c'è poco da stare allegri quando si toccano alcune riflessioni sull'incomunicabilità di coppia: la nostra società sarà pure fluida, per dirla alla Bauman, ma le conversazioni si incagliano, registrano dei vuoti, perdono vitalità e uccidono i rapporti. O le protagoniste di certi rapporti si suicidano. Negli anni Trenta, come nei Sessanta, o nel Duemila.
Il cast ha saputo affrontare un'eredità impegnativa. Giulia Bevilacqua ricopre il ruolo che fu di Margherita Buy, madre mondana perdente e figlia pianista dispotica. Caterina Guzzanti, come Valeria Milillo, traccia bene un profilo insaziabile di moglie-amante e poi di figlia-mutante. La Michelini carica di napoletanità una donna incinta (l'unica veramente innamorata), diventando poi un’orfana angosciata (Isabella Ferrari incarnava una piacentina). Paola Minaccioni raccoglie l'eredità di Marina Massironi e passa da sto(r)ica cornuta a single scaccia-uomini, a causa di certe insistenti smanie da fecondazione.
Buona riuscita per una “partita intergenerazionale” che fa riflettere.
Fino al 29 novembre al Teatro Ambra Jovinelli
Due partite
testo di Cristina Comencini
con: Giulia Michelini, Paola Minaccioni, Caterina Guzzanti e Giulia Bevilacqua
Regia di Paola Rota
Scene e disegno luci di Nicolas Bovey
Costumi di Gianluca Falaschi