L'Ora di Ricevimento

09/03/2017

"E tu insegnerai con dolore".. Così, cambiando verbo (in funzione unisex), rispetto al biblico "partorirai", ecco che viene avanti il racconto di una storia molto particolare della periferia, o banlieu, francese. Orientandosi nelle velenose pieghe del politically-correct, su testo del drammaturgo Stefano Massini, Michele Placido mette in scena al Teatro Eliseo di Roma "L'Ora di ricevimento", in cartellone fino al 26 marzo, con Fabrizio Bentivoglio nella parte del protagonista, il professore di scuola media Ardeche. È lui, quindi, a prendersi cura delle piccole anime sante multicolori tentando di insegnare loro materie letterarie in una multietnica periferia francese, di quelle dove i docenti sono abbandonati un po' a se stessi, come i domatori di leoni in gabbia, per trasmettere un sapere da intellettuali occidentali (Rabelais, Voltaire,..) molto distante in realtà dai valori reali e familiari, in particolare, in cui i suoi alunni si trovano a gestire all'esterno il loro vissuto quotidiano. Esperienze che, quindi, non sono immediatamente traducibili in percezione e conoscenza autentica di quelle personalità adolescenziali in divenire, che l'insegnante si trova a dover amministrare ingessandole negli oggetti di culto della letteratura occidentale.

Peggio di lui fa, in fondo, il suo collega di materie scientifiche, fuggiasco da un mondo universitario della ricerca che esalta l'Ego con pubblicazioni su riviste patinate, ma priva l'uomo della sua carnalità, del sano contatto fisico quotidiano tra fruitore e dispensatore del sapere così conquistato. Quindi, la cosa più ovvia da fare è regredire psicanaliticamente tornando a bagnarsi nell'esperienza adolescenziale altrui, pur non sapendola vivere nei suoi significati profondi, oscuri e sfuggenti. Così, Massimi e Placido iniziano il loro discorso teatrale come tessitori di un abito di Arlecchino, imbastito attraverso un lungo monologo preliminare di Ardeche sui normotipi che affollano le classi standard della multietnicità scolastica contemporanea, calata sull'invarianza caratteriale delle diverse tipologie che si vorrebbero di tipo universale. Il boss, il cartoon, l'invisibile, il bodygard, e così via. Anche coniugandoli per coppie vicine di banco che, per ragioni misteriose, ma invarianti nel tempo, si scelgono spontaneamente in funzione di supporto e conforto.

 Come il bullo islamico al quale siede accanto uno slavo cristiano che gli fa da guardaspalla. O la ragazzina triste assistita amorevolmente dalla missionaria. Tra i profili singoli, risalta la truffaldina che prende un ottimo voto in matematica con un compito non suo, per il quale un energumeno spillerà soldi al tristo insegnante ex ricercatore, reo di aver incautamente promesso alla sua alunna un vago premio scolastico in moneta sonante.  Poi, ci sono quelli sfigati che siedono al primo banco; i perdenti e i vincenti. Tutti etichettati, una volta per tutte, grazie a una sorta di misuratore fisiognomico personalizzato che pretende di tracciare un profilo accurato delle personalità adolescenziali plasticamente in divenire, marchiandole come tanti prodotti seriali di fabbrica. E con ciò, sistematicamente ignorando il famoso contesto esterno, in cui si svolgono gran parte della vita e dei rapporti socio familiari degli alunni. Troppe cose date per scontate, filtrate attraverso episodici e falsari compiti in classe, tornano indietro come boomerang, umiliando certezze e sfatando profezie sul divenire basate sulle piccole e, forse, del tutto insignificanti vicende della classe. Su quelle false convinzioni passa il livellatore costituito dall'enorme cilindro di acciaio dell'ora di ricevimento delle famiglie, in cui accade veramente di tutto, allorquando il mondo reale entra come vento in tempesta nella tranquilla casa di campagna di docenti che si fanno illusioni sul proprio compito salvifico.

"Del doman non v'è certezza", in fondo. Ricordate l'Autore?

Maurizio Bonanni