Damnatio muliebre. Letteralmente. Quando "Lei" è la longa manus che guida il destino e il successo politico di lui che, da balbuziente, minorato intellettuale, politicamente nato gregario, iscritto negli anni 30 al piccolissimo Partito Comunista romeno, diviene per moglie interposta addirittura il padrone-dittatore incontrastato del suo Paese. Parliamo dei coniugi Nicolae Ceausescu ed Elena Petrescu, due dittatori che hanno governato la Romania per oltre vent’anni. Due attori giovani interpreti-registi di grande bravura, Elvira Frosini e Daniele Timpano, hanno presentato dal 9 al 12 novembre al Teatro India di Roma la loro nuova creazione de "Gli Sposi - A Romanian Tragedy", su testo del francese David Lescot e traduzione di Attilio Scarpellini. Una farsa che diventa tragedia, con linguaggio diretto e ritmicamente incalzante, per rievocare la storia di una terribile coppia di potere. Lei, Lenuta, classe 1916, fu la vera eminenza grigia del regime. Vanagloriosa a tal punto da farsi nominare (malgrado fosse praticamente analfabeta!) accademica di Romania per le scienze, simulando poco veritiere scoperte scientifiche sottratte d'autorità ad affermati ricercatori ed esperti del settore, e a collezionare un vasto repertorio (che le fu riconosciuto in giro per il mondo nella sua esclusiva qualità di potentissimo vice primo ministro romeno) di lauree honoris causa in chimica dei polimeri.
Elvira Frosini, straordinaria nella parte, ne ricostruisce le pieghe caratteriali le più nascoste, il suo immenso desiderio di rivalsa e di riscatto, in quanto figlia di contadini di umili origini che aveva dovuto per necessità abbandonare ben presto gli studi elementari per trasferirsi a Bucarest e svolgere lavori di operaia tessile. In uno scenario completamente privo di coordinate scenografiche, brullo e deserto come l'animo arido e avido dei coniugi Ceausescu, sono la mimica, la voce adirata, concitata, imperiosa e dominante della Frosini a dare corpo e anima (nera) alla Lenuta appena adolescente frequentatrice precoce degli ambienti carbonari della Lega dei giovani comunisti. Lì incontra Nicolae di due anni più giovane (ragione per la quale è lei stessa a togliersi ufficialmente gli anni, per non apparire più grande del marito!) che se ne innamora perdutamente, tra un soggiorno carcerario e l'altro per motivi politici.
Raccontano entrambi come la grande fortuna di entrambi fu nel 1943 l'internamento di Nicolae nel campo di concentramento di Târgu Jiu, in cui soggiornò in compagnia dell'allora segretario del Partito Comunista romeno Gheorghe Gheorghiu-Dej, divenendone prima il protegé e poi il successore designato. Daniele Timpano dà grande forza a questa mutazione populista di Nicolae che abbandona progressivamente la sua timidezza e la difficoltà da balbuziente nel parlare in pubblico, sublimandola e controllandola attraverso gesti del braccio e della mano, simili a un incessante fibrillazione parkinsoniana. Con l'occhio spiritato e perennemente dilatato, Timpano-Nicolae ci mostra come il dittatore, grazie alla sua consistenza animalesca, riesca sistematicamente ad afferrare gli umori del popolo, creando illusione e speranze per una folle aspirazione di rinascita economica che porterà il suo popolo fino alla carestia, a causa del fallimento delle politiche industriali volute dal dittatore.
Così come Lenuta-Frosini dà risalto e grande forza gestuale all'ossessione di Elena per la crescita demografica dei romeni puri a prevalere sulle etnie rom, per cui vennero adottate a suo impulso leggi che obbligavano le rumene ad avere almeno quattro figli per le donne sposate, sanzionando pesantemente le nubili o le coppie senza prole, dopo aver abolito gli istituti dell'aborto e del divorzio e proibito il ricorso ai contraccettivi. Con il risultato di un drammatico affollamento degli orfanatrofi gestiti dallo Stato, ai quali le famiglie incapienti affidavano i figli che non potevano mantenere! E quando migliaia di bambini ospitati negli istituti furono infettati dall'Aids, Elena, negando ufficialmente il contagio, proibì demagogicamente di effettuare gli esami del sangue ai malati provocando una strage.
Fu anche sua la responsabilità della rovina economica della Romania, costretta a pagare con le esportazioni della maggior parte dei suoi beni naturali, agricoli e industriali, un faraonico debito estero concesso dalle banche occidentali per la trasformazione del Paese da società agricola a industriale, mentre Nicolae spendeva cifre mirabolanti per la costruzione dei suoi faraonici e orribili palazzi ed Elena riempiva decine di stanze con i suoi abiti di lusso, borse, scarpe e gioielli. Sempre sotto l'influenza di Lenuta, come ci mostra nelle sue assai interessanti composizioni di coppia il duo Forsini-Timpano, in politica estera Ceausescu si guadagnò l'attenzione e la stima del mondo sottraendosi platealmente dalla zona di influenza sovietica, prima con il rifiuto a partecipare all'invasione della Cecoslovacchia del 1968, avendo congelato nel 1966 la sua partecipazione al Patto di Varsavia.
Frosini riprende con grande maestria (indossando per tutta la rappresentazione un completo in tessuto marrone, con il bavero sinistro perennemente scivolato sulla spalla e con la cravatta in perfetto stile realsocialista) il famoso discorso pubblico del dittatore, in cui sostenne che "l'invasione di un Paese membro del Patto di Varsavia da parte di un altro stato membro costituiva pericolo per la pace e per il già precario equilibrio politico in Europa", per poi passare ad altre dichiarazioni di rottura epocale in cui Ceausescu apre al diritto all'esistenza di Israele a proposito del conflitto palestinese, distanziandosi così traumaticamente dall'Urss e dai suoi Paesi satelliti, sempre con la benedizione dell'inseparabile moglie.
Per l'inevitabile epilogo colpisce la bellissima immagine della coppia complice di spietati dittatori che negano disperatamente le responsabilità nell'eccidio di Timișoara, a seguito dell'ordine da loro dato di sparare sui dimostranti, cittadini e operai. Travolgente è poi il racconto della fine: Timpano-Nicolae, imitandone il solito piglio ducesco, ripropone al pubblico l'ultimo discorso di Ceausescu che provò ad arringare la piazza con l'elogio del socialismo scientifico, per ritirarsi precipitosamente all'interno del palazzo dopo che lui e la moglie erano stati pesantemente insultati da decine di migliaia di persone convenute. Altrettanto sottile e denso di pathos è il recitativo del prologo della fine, in cui la coppia cerca disperatamente rifugio presso luoghi e ambienti una volta abitati da fedelissimi adoranti, per terminare con una Elena sprezzante che malgrado la condanna a morte si rifiuta di riconoscere l'Autorità di chi la sta giudicando.