“La stazione è divenuta il simbolo dello sconvolgimento sociale del XIX Secolo, oltre ad essere il luogo dell’instabilità, dello spostamento e della caduta delle antiche certezze” scrive David Pountney nelle sue note di regia ed è in una stazione che ambienta questa Manon Lescaut in scena al Teatro La Scala, spostandola anche dal Settecento in cui si svolge all’epoca in cui fu invece scritta e musicata. E di instabilità ed incertezza Manon è impregnata, oscillando la protagonista femminile, come molte eroine del melodramma, tra la via dell’amore e quella frivola del piacere e del lusso e come le altre eroine destinata ad una tragica fine. Ma, come fa sempre notare Pountney, Puccini vi impresse più modernità e più tragedia già dall’inizio rispetto al romanzo di Prévost da cui l’Opera è tratta e dove là Manon collezionava amanti senza motivazioni psicologiche qui è vittima del fratello avido, scialacquatore e depravato che la spinge a “sistemarsi” con un agiato protettore. Spogliandola dunque degli orpelli settecenteschi, il regista dona all’opera pucciniana una diversa connotazione, in un contorno storico più vicino alla sensibilità del musicista e il cambiamento d’epoca non stride, come invece purtroppo stridono alcune azzardate invenzioni registiche.
E’ dunque su una stazione che si leva il sipario, dove la bella e ricca scenografia di Leslie Travers fa arrivare in scena un treno a vapore dietro un vivace chiosco e gli impeccabili costumi di Marie-Jeanne Lecca vestono l’acceso via vai di gente, di bianco i protagonisti, di bruno coro e figuranti che gradualmente prendono vita. Nei salotti vellutati di un treno in movimento si svolge il secondo atto, dove una civettuola Manon si abbandona ai frivoli piaceri e finisce col derubare il vecchio amante condannandosi alla rovina. E quando alla fine del terzo atto il grigio transatlantico che deporta Manon in America si sposta è di nuovo la stazione ad apparire nel quadro finale, una stazione ormai in rovina nelle dune del deserto, con orologi e lampioni sommersi come in uno scenario surreale. Ma se abbiamo trovato suggestive le precedenti scenografie, in particolare il movimentato primo quadro, quest’ultima visione lascia un poco perplessi e certo le preferiamo lo scenario brullo e desolato dell’ultima Manon Lescaut presentata alla Scala, nel ’98, per la regia di Liliana Cavani e le scenografie di Dante Ferretti. Ma i dubbi suscitati dalle scelte registiche di Pountney non finiscono qui.
Sono molte le soluzioni che lasciano perplessi, prima fra tutte quella di popolare la scena di fanciulle, anch’esse biancovestite, che vorrebbero simboleggiare proiezioni della giovinezza innocente di Manon. Una di loro sembra addirittura cantare “Manon Lescaut mi chiamo” quando Des Grieux le si avvicina, quando è invece il Soprano a cantare, su di un carretto a lato della scena. Ed è sempre su un carretto che Manon agonizza in mezzo al deserto, mentre Des Grieux piange per la maggior parte del tempo lontano da lei anziché tenendola tra le braccia. Nelle intenzioni del regista la storia dovrebbe essere tutta un flash back che passa davanti agli occhi di Manon morente, ed anche le rovine della stazione sono ricordi sommersi. O così interpretiamo noi per giustificare tali stranezze, ma francamente la decisione poco convince. E ben poco convincono le apparizioni nel deserto, miraggi del passato, i tre personaggi di Edmondo, il Maestro di Ballo e il Lampionaio interpretati dallo stesso tenore che mai cambia di costume confondendo così lo spettatore (e perché poi il Lampionaio canta la sua aria all’interno del gabbiotto delle prostitute?), ed infine le insopportabili damine del 700 in quella che dovrebbe essere la scena del ballo (ma perché tornare al 700 se l’epoca è un’altra?).
Sull’altro piatto della bilancia sta la splendida esecuzione musicale che lascia vibrare tutta la dolcezza della musica di Puccini e la sua accorata malinconia. Il Direttore Riccardo Chailly ha voluto riproporre la prima versione originale dell’Opera andata in scena a Torino nel 1893. Di grande potenza vocale i due interpreti principali, il Soprano Maria José Siri nel ruolo della mutevole Manon e il tenore argentino Marcelo Alvarez nel ruolo dell’innamorato Des Grieux. Applausi per tutto il cast, completato da Massimo Cavalletti (Lescaut), Carlo Lepore (Geronte) e Marco Ciaponi nel già citato triplice ruolo. Accoglienza più tiepida riservata alla messa in scena. Si replica il 24 e il 27 aprile.