Rigoletto

06/09/2019

Torna al Teatro alla Scala Rigoletto con Leo Nucci nei panni del tragico protagonista e la storica regia di Gilbert Delfio

“Ah la maledizion!” Sul grido disperato di Rigoletto che stringe tra le braccia la figlia morta, una tragica luce che inonda i loro corpi, cala il sipario.
E doveva intitolarsi proprio “La Maledizione” l’Opera di Verdi tratta da “Le Roi s’amuse” di Victor Hugo. “Trovo bellissimo – scriveva Verdi – rappresentare questo personaggio esternamente deforme e ridicolo e internamente appassionato e pieno d’amore”. Verdi infatti sposava appieno l’ideale romantico di Hugo di infrangere le regole della tradizione classica ed avere come eroi personaggi deformi e grotteschi ma profondamente tragici. Convivono due anime in Rigoletto, quella cinica del buffone, la maschera beffarda che si porta addosso, e quella di padre affettuoso e tormentato. La maledizione ricevuta da un altro padre che ha deriso gli pesa addosso come una condanna (“Quel vecchio maledivami...”). E’ al momento della maledizione che vediamo il cambiamento di Rigoletto che assurge a vette tragiche e si incammina inesorabilmente verso il suo destino disperato in cui diventa vittima della stessa sciagura che ha deriso e, per vendicare la figlia, si fa invece artefice della sua morte.
La censura ostacolò la creazione dell’opera di Verdi che insieme al librettista Francesco Maria Piave dovette adattare il dramma di Hugo trasferendo la vicenda alla corte di Mantova. Triboulet divenne Rigoletto, colui che scherza, e diede titolo all’Opera. Ma è la maledizione il tema costante che torna a ripetersi fin dal preludio tramite la ripetizione della nota Do in ritmo doppio puntato.
L’impatto drammatico risiede nella forza della sintesi, nelle emozioni espresse dal canto in tutte le sfumature e nel contrasto tra le due figure antagoniste: se il Duca di Mantova si esprime in melodie che ne rivelano l’atteggiamento sfrontato e spensierato (l’aria d’apertura “Questa o quella per me pari sono” già lo dipinge interamente in tutta la sua allegra baldanza), Rigoletto declama e canta in forme rotte e spezzate.
Verdi stesso diceva che Rigoletto è una lunga sequenza di duetti. Culminano nel finale del secondo atto con il “Sì Vendetta tremenda Vendetta” di Rigoletto contrapposto all’invocazione di perdono e pietà di Gilda e con il quartetto del terzo atto (“Bella figlia dell’amore”) in cui si mescolano quattro stati d’animo diversi. E su tutto incombe il presagio di sventura e la cupa attesa di tragici eventi.

Con la sua modernità e potenza Rigoletto costituisce la prima Opera della cosiddetta “trilogia popolare” verdiana che prosegue con Il Trovatore e la Traviata. Al Teatro alla Scala tra il 1853 e il 2016 fu rappresentato 343 volte, con solo una lunga pausa tra il ’71 e il ’94 in cui si sembrava voler rifuggire dal rappresentare le Opere che avevano suscitato eccezionale successo nei decenni precedenti. Tornò in scena con la regia di Gilbert Delfio e la meraviglia delle scene di Ezio Frigerio e dei costumi di Franca Squarciapino. La stessa messa in scena che abbiamo visto tornare ora con la Direzione di Daniel Oren.
A dare la voce a Rigoletto dal 2001 è Leo Nucci, grande e storico interprete di questo straordinario personaggio, che anche ieri sera ha suscitato forti emozioni, con entusiasta richiesta di bis di “Sì vendetta”. Enkeleda Kamani è una splendida Gilda fragile e commovente mentre a impersonare il Duca è il tenore Chuan Wang. Le repliche si succederanno fino al 20 settembre con il Soprano Francesca Manzo e il Tenore Rodrigo Porras Garulo nelle serate del 7, 13 e 18 settembre.
Dallo sfarzo del palazzo del Duca di Mantova al buio delle strade in cui si tramano rapimenti e delitti le scene si accompagnano con suggestione alla potenza della musica e del dramma. L’ombra deforme di Rigoletto giganteggia sulla scena accompagnando le sue paure e i suoi neri propositi. Quando la tragedia volge ai suoi ultimi accenti incombe un temporale i cui lampi accendono la disperazione di Gilda per scrosciare ed esplodere poi sulla scena con l’impeto della violenza. Tutta la regia vive dei contrasti che intessono l’Opera, di luci e di ombre, di colori accesi e di strade notturne e solitarie, così come le tre celeberrime arie spensierate del Duca di Mantova (“Questa o quella”, “La Donna è mobil”, “Bella figlia dell’amore”) si oppongono al sordo e cupo ripetersi di quella “maledizion” che grava sullo storpio giullare. Stupendo.

Gabriella Aguzzi