Misery

28/11/2019

Misery. Ovvero, quando il Successo sposa la Follia. Anche se la parte attiva della coppia, quella che si dichiara, molto spesso si inverte. E nel romanzo-thriller di Stephen King è proprio Lei a costringere Lui a un matrimonio forzato torturandolo selvaggiamente. Nello spettacolo "Misery", in scena fino al 1 dicembre alla Sala Umberto di Roma, Filippo Dini (Paul Sheldon) e la bravissima Arianna Scommegna (Annie Wilkes, l'infermiera folle già interpretata in quel ruolo da Kathy Bates, a suo tempo insignita per il film omonimo con il Premio Oscar e con il Golden Globe come migliore attrice,) si rivelano perfetti nella parte. Anche il supporto scenografico, che si avvale di una piattaforma rotante per i cambi scena (un esterno; due interni tra cui la stanza da letto e la squallida cucina), ha il grande pregio con i suoi arredi essenziali di mantenere sempre viva l'attenzione al primo piano e ai contenuti espressivi altamente drammatici della recitazione. Dini dimostra poi doti atletiche e funamboliche insospettabili, muovendosi da sdraiato con due gambe e un braccio bloccati e una sola mano d'appoggio per tentare di forzare una porta chiusa. La maschera criminale della Scommegna invece è un'incitazione costante a provare orrore grazie a una recitazione attentamente studiata e a una calma tesa, che approfondisce gli aspetti e le aberrazioni comportamentali di certi soggetti ristretti nei manicomi criminali.

Chi osserva è tentato all'inizio di pensare all'incubo di un personaggio in coma profondo, come lo scrittore Sheldon uscito di strada e gravemente ferito dopo aver perso il controllo dell'auto a causa del manto ghiacciato. Ma bastano le prime scene di follia e tortura per ricredersi. Lì, una carceriera, infermiera e donna fallita, mette in pratica le sue ossessioni di lettrice che intende manipolare il demone della forza e della vitalità creatrice del suo ostaggio. Perché, in un certo senso, la scrittura è una sorta di delirio di onnipotenza: l'Autore è un Dio e un Demone allo stesso tempo che forgia personaggi e storie e li piega al suo capriccio. Alcuni vengono innalzati nell'Olimpo dei valori e del coraggio, mentre altri sono ricacciati nella Geenna biblica, la discarica umana dei corrotti, dei bastardi, degli assassini. E Annie è il fattore imprevisto, il terzo incomodo che prende fisicamente a martellate quella volontà di onnipotenza, costringendo il racconto a seguire le sue voglie e i suoi sogni.

L'eterna lotta, cioè, tra Lettore e Scrittore. L'uno innamorato e schiavo dell'altro. Ma guai a deluderlo. Guai a voler far terminare una serie con la morte del personaggio preferito e amato alla follia. Perché allora, a quel punto, scatta la ribellione del lettore-dipendente, drogato dalla sua identificazione con il protagonista letterario, dove quindi la morte di quest'ultimo causa la "propria" morte. Lo Scrittore, però, ignora tutto questo e si muove parallelamente su piani molto diversi: le esigenze del suo editore; la smania di inseguire il successo e, una volta ottenutolo, tenerlo vivo a tutti i costi, anche svendendo la sua migliore creatura letteraria, affinché la giostra non si fermi mai, perché nessuno chiami l'ultimo giro, come invece la legge di natura impone, data l'impossibilità in terra di assicurarsi il moto perpetuo senza prima esaurire tutta l'energia a disposizione della propria forza vitale. Annie è una sorta di Rasputin che continua a muoversi e a tentare di afferrare e strangolare l'avversario che gli sta sparando addosso mirando al bersaglio grosso, al suo corpaccione rigonfio di alcool, di desiderio sessuale ed ebbro di potere e follia.

Per Annie tutto questo coincide con il tentativo di tenere in vita il personaggio di Misery che, invece, nel suo ultimo romanzo Sheldon ha deciso di far morire. Ma tutto si tiene, come si vedrà dal fuori scena finale: anche i drammi e le tragedie vere, affinché il circo mediatico metta sempre in pista e senza soste le sue invenzioni mirabolanti.

Maurizio Bonanni