
“Tosca, nel tuo cuor si annida Scarpia!” così canta il Barone Scarpia – un grandissimo ed acclamato Luca Salsi – sul finire del primo atto, concependo il suo piano diabolico per far leva sulla gelosia di Tosca (“Jago ebbe un fazzoletto... ed io un ventaglio”) mentre alle sue spalle la scena si popola di monache, cardinali, guardie papaline, folle di fedeli, un coro solenne che intona il Te Deum. E’ grandiosa e splendida la scenografia creata da Giò Forma, studio di designer che ci regala tre quadri sontuosi in perenne movimento tra rotazioni e spalancarsi di pareti che donano alla scena ampiezza e una vista da diverse angolazioni. In particolare il primo atto ha una vertiginosità filmica e nella Chiesa di Sant’Andrea della Valle alterna in primo piano la cappella degli Attamanti dove il fuggiasco Angelotti si rifugia, gli altari, il quadro della Maddalena con l’impalcatura del pittore. Nel secondo atto, più statico, la scena del palazzo in cui Scarpia consuma la sua “povera cena”, tra statue di santi e marmi lucidi in cui i protagonisti si riflettono, si alza per dare spazio alla scena parallela della tortura, mentre i tendaggi bianchi si gonfiano sulle note dell’uccisione ed infine il terzo atto, livido e grigio nell’attesa dell’alba, si svolge sotto la gigantesca ala di Castel Sant’Angelo, che muta immagine sopra la prigione rotante.
La regia di Davide Livermore è tutta così, sospesa tra tradizione e modernità, carica di suggestioni e di grande impatto emotivo. Tra gli eccessi che il melodramma esige e l’essenzialità drammatica. Restituisce l’opera pucciniana in tutta la sua passionalità e violenza, cupa e torbida come i cappotti di Scarpia e delle guardie striati di rosso (splendidi i costumi di Gianluca Falaschi che veste i protagonisti come di pennellate). Carica di tensione sessuale la scena tra Tosca e Scarpia ed accentua, nella gestualità degli interpreti, la prorompente passione pregna di tragedia e foriera di morte. Sentimenti violenti che la splendida musica di Puccini evidenzia con forza nei suoi crescendo e nelle sue esplosioni. Tosca, versione lirica del dramma di Sardou che impressionò Puccini a teatro con l’interpretazione di Sarah Bernhardt, è la tragedia di una donna religiosa in cui erompe il fuoco della passionalità e della gelosia e su questo aspetto contrastante si focalizza la regia di Livermore. Il dramma di una donna credente che si è appena macchiata di un delitto pur di salvare l’uomo che ama è sottolineato dalla furia con cui pugnala Scarpia e subito dopo dal rimorso che la perseguita, simboleggiato dall’immagine di se stessa nell’atto di uccidere che torna nella sua mente mentre raccoglie il mantello e il lasciapassare uscendo dal palazzo e il sipario cala sul secondo atto.
Mai poteva esserci messa in scena migliore per inaugurare la Stagione 2020 al Teatro alla Scala. Se la Prima del 7 dicembre ha decretato 20 minuti di applausi anche le rappresentazioni di gennaio sono culminate in un’ovazione. Raramente il pubblico scaligero manifesta un consenso così entusiastico. Uno scroscio d’applausi a scena aperta ha accolto anche le due arie più celebri: il “Vissi d’arte” nell’esecuzione della splendida Saioa Hernandez (Tosca) e il “E lucean le stelle” con la meravigliosa voce di Francesco Meli (Cavaradossi), momenti sublimi da muovere alle lacrime. In quel “l’ora è fuggita e muoio disperato e non ho amato mai tanto la vita” si concentra tutta quella passione che inonda l’opera.
Dopo la messa in scena di Luc Bondy del 2011, 2012 e 2015 (leggi la recensione nel nostro Archivio) Tosca è tornata alla Scala con la direzione di Riccardo Chailly che continua il percorso di presentazione delle opere di Giacomo Puccini alla luce delle ricerche musicologiche più recenti, con cui ha già riportato alla Scala Turandot, La fanciulla del West, Madama Butterfly e Manon Lescaut.