La parola ai giurati

07/11/2008

Si è tornati a parlare di “La parola ai giurati” quest’anno con l’uscita di “12”  di Nikita Michalkov. E’ stato inevitabile il confronto con il celebre film del ’57 di Sidney Lumet che, con tono asciutto e clima claustrofobico, portava sullo schermo il dramma di Reginald Rose: “twelve angry men” chiusi in una camera di consiglio per decidere il loro verdetto di innocenza o colpevolezza su un imputato accusato di parricidio, 12 giurati di varie estrazioni sociali in uno stretto confronto che lascia esplodere diversità, dubbi e violenti contrasti. Il film di Lumet, nella sua teatrale semplicità, aveva un ritmo serrato che il remake di Michalkov, nel suo più ampio respiro e nella sua trasposizione geografica e attualizzazione temporale, non presentava, teso a dare apertamente un quadro sociale e una soluzione al giallo che l’opera di Lumet, così come la pièce originale, volutamente non dava, lasciando solo sospeso nell’aria il “ragionevole dubbio” che non può far emettere un verdetto di condanna (maggiori dettagli in “Buona la prima?”)
Fedele  al film di Lumet, anche nell’ambientazione (New York 1950), la versione teatrale in scena al Teatro Manzoni di Milano con Alessandro Gassman che ne cura direttamente la regia. Regia, va subito detto, tra le più belle che ci è stato dato di vedere nei teatri italiani negli ultimi anni. Per contrasto, tanto era teatrale il film di Lumet, tanto cinematografica è la regia di Alessandro Gassman, tanto era “chiuso” il film tanto la regia teatrale si apre su spazi esterni, in un gioco di luci e riflessi che proietta lo scorrere delle ore, il passaggio del treno, la corsa delle nuvole, i passi sulle scale, rendendo così ancora più tangibili il calore e la stanchezza di quella stanza che fa dei giurati i prigionieri stessi delle loro tensioni.
La scena, nella sua immobilità di luogo, è un continuo quadro, battuta dalla pioggia contro i vetri, oscurata dall’avanzare della sera. Al primo impatto visivo fa pensare ai quadri di Edward Hopper. Fedele a quella lezione di realismo che dona il piacere di credere alla finzione ed è il segreto stesso del Teatro, Gassman è perfetto anche nella ricostruzione d’epoca. E come attore ha la sapienza di non voler dominare sul gruppo, benché sostenga il ruolo, che fu di Henry Fonda, del giurato che insinua il primo dubbio dando così inizio alla riflessione su un caso che appariva certo fin dall’inizio. “La parola ai giurati” è uno spettacolo corale, recitato con equilibrio e sintonia da un ottimo cast che va citato per intero: oltre a Gassman, Sergio Meogrossi, Fabio Bussotti, Paolo Fosso, Nanni Candelari, Emanuele Salce, Massimo Lello, Emanuele Maria Basso, Giacomo Rosselli, Matteo Taranto, Giulio Federico Janni ed in particolare Manrico Gammarota, il più arrabbiato dei 12, che alla fine assiste al crollo della propria sicurezza trasformandosi da uomo agguerrito a vecchio fragile e ferito. Cinematografico fino alla fine, con tanto di “titoli di coda” a presentare l’intero cast, lo spettacolo è ancora, rispetto al film di Lumet, più traboccante di rabbia, più violento negli scontri, più palpabile nella tensione.

Gabriella Aguzzi