I Soliti Ignoti
12/02/2022
Sembrava impossibile portare a Teatro un film culto come I Soliti Ignoti di Monicelli, capolavoro della commedia italiana con mostri sacri come Gassman e Mastroianni e con battute che ancora oggi, a più di 60 anni dalla sua uscita, si ripetono a memoria. Eppure la scommessa è vinta e lo spettacolo che abbiamo visto al Manzoni con la spigliata regia di Vinicio Marconi e con Giuseppe Zeno e Fabio Troiano in scena garantisce due ore piacevolissime, ripiombandoci in quegli Anni Cinquanta che ancora non si erano scrollati di dosso la miseria del dopoguerra, ma raccontando questa miseria col sorriso della commedia, rispettando testo e spirito del film ma senza farne una mera copia.
Merito dell’adattamento teatrale di Antonio Grosso (che è anche in scena come Mario, il ruolo che fu di Renato Salvatori) e Pier Paolo Piciarelli che abilmente fonde le celebri battute della magica sceneggiatura di Age & Scarpelli, Suso Cecchi D’Amico e dello stesso Monicelli, con dialoghi nuovi (soprattutto quando si devono rendere i passaggi più cinematografici) ma perfettamente consoni, senza che neppure se ne avverta la differenza. Merito di un cast affiatato così come “fanno squadra” i protagonisti della storia che si avventurano nell’audace colpo, che mantiene il ritmo a orologeria quanto lo mantiene il testo, e che non imita i suoi predecessori ma offre un’altra chiave, gradevole e senza forzature.
Se Zeno e Troiano non vogliono dichiaratamente confrontarsi con Gassman e Mastroianni e scelgono un’altra via, Salvatore Caruso è quasi identico al Capannelle del film, anche nell’abbigliamento (“Me pari in divisa da ladro” “Sportivo!”), così come Vito Facciolla si ispira al Ferribbotte di Tiberio Murgia e Antonio Grosso è un Mario più scherzoso e di cuore aperto e Ivano Schiavi omaggia Totò nel ruolo di Dante Cruciani con la sua lezione di scassinamento. Ottimo Paolo Giovannucci nel ruolo del vecchio criminale Cosimo e a Marilena Anniballi spetta il doppio personaggio della sicula Carmela e della veneta Nicoletta.
Ripercorriamo così tutta la storia, dalla ricerca della “pecora” allo studio del colpo fino alla rapina nell’appartamento. Le scene si snodano con naturalezza e leggerezza una dopo l’altra, tra inghippi, equivoci e sogni di una vita migliore, qualcosa di più di un mondo dove “il ragazzino in carcere ci andrà quando sarà grande”. Sono ladri che non mirano alla ricchezza e al lusso, hanno desideri semplici, come fa notare Zeno nella presentazione dello spettacolo.
C’è un pizzico di nostalgia, ma soprattutto si ride in sala, dono ormai sempre più raro.
Gabriella Aguzzi