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Una sedia e lo strumento principale: la voce. Non ha niente altro Enrico Messina per raccontare una storia che è più intricata che affascinante. La storia è quella che racconta l'Ariosto nell'Orlando furioso, semplificata, ma pur sempre molto intricata e ormai poco in sintonia con i gusti del pubblico. In realtà l'Orlando portato in scena al Libero è ben altro: è la prova di come sia possibile fare spettacolo semplicemente usando quello strumento formidabile che può essere la voce, quando la si sa usare e rendere duttile a quello che si vuole raccontare. E allora poco importa che lo spettatore possa perdersi nella storia - e infatti il finale dello spettacolo la interrompe bruscamente, perché quello che realmente conta è il rapporto attore-pubblico.
L'esperimento - sempre interessante - non è certo nuovo, basta ricordare il precursore di questo tipo di teatro, Marco Baliani con Michele Kolhaas, dove la capacità di incantare il pubblico, affascinarlo, ricostruire un mondo davanti ai suoi occhi semplicemente usando la voce arriva a livelli davvero eccelsi. Nell'Orlando l'intrico della storia lo consente meno, ma in tempi economicamente difficili è una prova di come si possa fare teatro semplicemente avendo una idea.
Foto di Rodolfo Messina
Orlando a Milano al Teatro Libero fino al 30 marzo.