To be or not to be

02/04/2009

Approda sul palcoscenico quello che è stato il soggetto di una delle più brillanti commedie di Lubitsch, “Vogliamo Vivere”, serbando di Lubitsch tutta l’eleganza, la verve, il celebre “tocco”. La riscrittura teatrale di Maria Letizia Compatangelo che rielabora il film di Lubitsch, ma anche il racconto originale dell’ungherese Melchior Lengyel, ha il dono, come ben definisce lo stesso regista Antonio Calenda, di “essere fedele pur inventando”. E, a vedere sul palcoscenico del Manzoni, questo “To be or not be” viene subito da pensare come il Teatro dovesse essere la sua destinazione ideale, perché il gioco realtà/finzione, teatro nel teatro, trucco scenico e illusione che vincono anche il Male più grande acquistano maggiore forza e sembrano nati per un meccanismo teatrale perfetto. Tutto teatrale già il titolo, “To be or not be”: il monologo di Amleto durante il quale uno spettatore ripetutamente si alza gettando nello sconforto Ian Tura, attempato attore shakespeariano, una delle battute cardine del Teatro, ed anche quell’interrogativo in cui vive perpetuamente l’attore facendo spesso della finzione qualcosa di più vero del vero. Su questo spunto si basa tutta la vicenda, che è un susseguirsi di intricati trucchi da parte di una compagnia polacca di attori per smascherare spie nemiche e combattere il Nazismo con i mezzi di cui dispone. Un caleidoscopico gioco di equivoci e colpi di scena, tutto in salita, con un ritmo che non ha mai un attimo di cedimento.
Con un testo come quello di “To be or not to be” era impossibile non divertire. Ma a rendere ancora più godibile lo spettacolo, sicuramente uno dei migliori della Stagione, è una messa in scena variopinta e movimentata, con ben 18 attori sul palco, tutti col giusto tempismo nel meccanismo a orologeria che lo governa, e continui e rapidi cambi di scenografia: la commedia sul Nazismo che la Compagnia sta provando, quindi l’Amleto, visto dal retroscena e come capovolto, con il protagonista che si agita sullo sfondo, e poi ancora l’Amleto declamato da Ian Tura, con lo “spettatore” che disturba il suo monologo facendo alzare realmente tutta una fila (e da qui in poi parte la catena di equivoci che proseguirà inarrestabile e irresistibile fino al finale). Il vecchio gioco di comparire in mezzo al pubblico s’inserisce naturale e senza forzature e due canzoni, scritte appositamente da Nicola Piovani, completano il tutto, offrendo l’occasione a Daniela Mazzucato di esibirsi anche in veste di cantante, mentre Giuseppe Pambieri è un Ian Tura perfetto ed esilarante.

Ian Tura è un personaggio molto divertente, lo stereotipo dell’attore vanesio preso fin nell’essenza a guardare dentro il proprio mondo, un ingenuo preso di sé che poi si trasforma e mette in moto una serie di stratagemmi, attraverso trucchi, parrucche e tutta l’arte teatrale per debellare il Male” lo definisce Pambieri.
Ho trovato gli interpreti giusti che più giusti di così non si può e ho potuto contare su una coppia fantastica di protagonisti, una signora del teatro lirico come Daniela Mazzucato e Giuseppe Pambieri” dice il regista Calenda. E prosegue “Questo spettacolo è un omaggio a un grande del Cinema, un omaggio alla poesia che il Teatro alimenta e al grande Teatro che sa divertire con intelligenza. E attraverso la lievità del sorriso vogliamo lanciare qualche grido d’allarme”. “Avevo visto prima il remake fatto da Mel Brooks – aggiunge Pambieri – ma ne aveva accentuato troppo il lato comico. Ho poi riscoperto il film di Lubitsch che è molto più sottile. Noi ci siamo rifatti alla versione meno farsesca, e anche qui il Nazismo incombe funestamente, come nel film che è contro l’arroganza becera del potere. Ma il tema è trattato con grande leggerezza, come in Il Grande Dittatore o La Vita è Bella”.

Gabriella Aguzzi