Goldoni ha sempre prediletto i sequel. Basti pensare al vorticoso dittico de La putta onorata e La buona moglie, al più morigerato Pamela fanciulla e Pamela maritata o alle tre “puntate” della persiana Ircana. Per la Trilogia della villeggiatura il commediografo veneziano avrebbe voluto una rappresentazione unificata. Antonio Latella e Letizia Russo sono riusciti nell’impresa.
Quasi cinque ore – il regista stabiese predilige format titanici - per tratteggiare il quadro di una borghesia frivola e ambiziosa. I folli preparativi, la smodata condotta e le dolorose conseguenze della villeggiatura, temi tra l’altro già toccati nel Prodigo e nei Malcontenti - repetita iuvant.
Le tre stazioni sono anche «spettacoli diversi cui corrispondono tre lingue diverse» spiega Latella. Allora, se Le Avventure restano più fedeli all’originale, col dialetto e i costumi d’epoca, l’adattamento che Letizia Russo fa delle Smanie è dissacratorio: la “villeggiatura” lascia il posto ad un’evocativa “buffonata”, sottolineando l’attuale imperante logica dell’apparire. I quattordici attori, sempre in scena, sfilano come modelli. Le prime donne, Vittoria e Giacinta, duellano a colpi di tacco in un western glamour. Patinate e aggressive, sono l’emblema di quella fragile adolescenza assetata di conferme (frequenti i «Dimmi che sono bravo», «Dimmi che sono bella»).
Un trittico «dove la parola si fa pittura» precisa Latella. L’ultima tela ci ricorda un ready-made, con gli attori dentro e fuori trabocchetti: palle viventi di un flipper gigantesco. La prorompente fisicità –esplosa nel Ritorno- si interseca ad un’acuta commistione di lingue, ognuna con la sua connotazione: il tedesco dei ricchi, l’italiano degli indigenti, il latino dello zio Bernardino, troppo avaro per capire gli altrui bisogni (e idiomi), le citazioni di Dante e Totò.
Viene da chiedersi se per temi, forma mentis ed etica, Goldoni avrebbe preferito nascere nel secondo dopoguerra. Chissà, la tentazione della lunga serialità americana?