TRAMA. Dramma in due atti scritto nel 1919. Peppeniello e ‘Mmaculatina vedono il loro amore stroncato dalla zia della ragazza, donna ‘Ntunetta, che le combina un matrimonio con l’orafo Vincenzino. Già malato di tisi, Peppeniello muore il giorno delle nozze.
TRE PECULIARITÀ. Ferocia nel rappresentare le miserie quotidiane e l’accidia che piega i due innamorati. Opacità nello sbozzare personaggi poco incisivi, anche i principali, chiusi in un estraniante isolamento. Innovazione nel rileggere un classico del teatro napoletano, a partire da un workshop tenuto dalla Angiulli durante lo scorso NTFI.
PERSONAGGI. Vicini alla tragedia greca, in stile vivianesco. Popolani dipinti nella loro disperazione, in guerra per soddisfare i bisogni primari e amministrare la giustizia. «Siamo gente del vicinato. Non ci possiamo stare zitti» chiarisce donna Rosa (l’esplosiva Alessandra D’Elia) a donna ‘Ntunetta (incarnazione della napoletanità, la verace Anna Fiorelli). Sempre negativi, in questa pièce l’unico a distinguersi è Vincenzino (Antonio Pennarella) che noncurante della reputazione compromessa manda la neomoglie (Laura Borrelli) dal primo amore per l’estremo saluto.
APPUNTI di REGIA. Angiulli ha depennato dalla versione originale la parte di Peppeniello e il prologo che forniva un corale spaccato del Rione Sanità, concentrandosi sulla dimensione più tragica e individuale della vicenda. Proprio sul troncone drammatico si innesta il dissacrante registro comico che scatena un’ilare dissonanza. Paradigmatica è la scena in cui gli invitati spingono il talamo nuziale sulle note di una marcetta funebre. La festa in fondo è un funerale, in una scenografia buia, essenziale, un’unica agorà aspaziale.
LO SAPEVATE CHE..? Viviani fece il suo esordio da attore a quattro anni in un teatrino di marionette, il “Masaniello” a Porta Capuana.
Anna Fiorelli ha già ricoperto il ruolo della zia tutrice, donna ‘Ntunetta, in una messinscena del 1985, al fianco di Nino Taranto e Luisa Conte. Enfant prodige, Fiorelli ha mosso i primi passi su un palco a tre anni, in 'E Ppentite di Gaspare Di Maio.
Viviani è lo stereotipo dell’uomo immolato alla passione: di notte scriveva; al mattino dirigeva le prove della compagnia; di pomeriggio recitava fino a tardi; a notte fonda faceva i conti con l'amministratore.