Molto Rumore per Nulla

05/12/2009

TRAMA. Opera in cinque atti scritta da Shakespeare nel 1599 e ambientata nella contemporanea Messina ispanica. Il governatore Lionato accoglie nella sua magione il principe Pedro d'Aragona, di ritorno dalla guerra con alcuni suoi fidi compagni; uno di questi, il conte fiorentino Claudio, si innamora della figlia di Lionato, Ero. Il padre approva, ma il matrimonio è messo a repentaglio dal perfido fratellastro del principe, don Juan, geloso delle attenzioni riservate a Claudio. Con la complicità dei suoi sgherri, don Juan fa credere a Claudio che Ero lo tradisce alla vigilia delle nozze: Claudio la ripudia pubblicamente e la ragazza ricorre alla “morte riabilitativa”. Contemporaneamente, si sviluppa una dissacrante schermaglia amorosa tra Beatrice, nipote di Lionato, e uno dei compagni del principe, il signor Benedetto da Padova, entrambi scapoli convinti e refrattari all'unione matrimoniale. Il principe Pedro predispone un complotto per indurli in tentazione e…


PERSONAGGI. In un’opera corale come “Molto rumore per nulla”, ogni personaggio ricopre un ruolo ben individuato, eppure omogeneizzato al tutto. La giovane coppia Claudio-Ero (Francesco Bonomo-Tamara Balducci) incarna l’amore romantico, innocente e virtuoso, in contrapposizione ai più battaglieri Benedetto-Beatrice (spumeggianti Lorenzo Lavia e Federica Di Martino), duo di acidi, superbi, delusi e sarcastici. Androgina affetta da cronica invidia del pene lei, single impenitente lui, «sempre contro il matrimonio, ma i gusti cambiano, e poi ricordiamoci che il mondo va popolato» dirà nel V atto. I due rappresentano un attualissimo scambio di ruoli, sottolineato visivamente sul palco da un passaggio di costumi e un’alternanza nel tono della voce.  
Della coppia estremizzata don Pedro-don Juan (convincenti Salvatore Palombi ed Alessandro Riceci), il primo è un canonico principe (azzurro), bello e sostenitore di sani valori; il suo alter ego vendicativo non perde occasione, nei dialoghi con gli sgherri Corrado (Daniele Sirotti) e Borraccio (Igor Horvat), di palesare la volontà di farsi portatore di rovina e morte.
Summa comica è il capitano della ronda, Carrubo (factotum Andrea Nicolini), di ceto inferiore rispetto agli altri personaggi, si esprime, linguisticamente, attraverso un pot-pourrì siculo latino filosofeggiante e, fisicamente, ricorrendo alla goffaggine tipica di chi riesce ad essere nel posto giusto al momento giusto, totalmente a caso.


APPUNTI di REGIA. Lavia ha effettuato due scelte significative: innanzitutto, l’opera che condensa il meglio delle commedie shakespeariane, con equivoci, finte morti, scambi di persona, macchinazioni e schermaglie amorose; poi, il casting: una ventina di promettenti attori coi quali ha condotto un laboratorio teatrale. Lavia ha valorizzato la dimensione picaresca di “Molto rumore per nulla”: anche il dramma del complotto, con successivi ripudio e finta morte di Ero, nella fresca traduzione di Chiara De Marchi diventano escamotage per sortire un maggior effetto comico. La regia è fluida, attenta indistintamente a tutti i protagonisti della scena, spalmati sul palco a riempire ogni spazio e crearne di nuovi (Benedetto/Lavia finisce a lucidare una parasta oltre la ribalta).

Tre AGGETTIVI per DESCRIVERLO. Musicale: al “molto rumore” shakespeariano si affianca la molta musica di Andrea Nicolini, con due pianoforti, un flauto, una fisarmonica e diverse chitarre vibranti in scena. Performance dal vivo di motivi formulati appositamente per lo spettacolo; Nicolini segue dall’interno l’intreccio (è un ottimo Carrubo, oltre che efficace compositore), piegando la musica al servizio della narrazione, che guadagna spessore.
Fisico: corpi elastici, muscoli scattanti, piedi leggeri intrecciati in danze e processioni. Comiche le trovate della sgangherata pattuglia di guardia che svela i piani di don Juan: snodabili Alessandro Cangiani (competente anche al piano, al fianco di Nicolini) e Faustino Vargas. Valida prova di mimica, coinvolgente soprattutto quelle di Lorenzo Lavia (Benedetto), Federica di Martino (Beatrice) e della ronda (Nicolini, Vargas, Lombardo e Cangiani). Partiture gestuali in tutto complementari alle battute.
Rinfrescato: nuovo smalto conferito ad un classico grazie alle canzoni e ai balli interpretati dai giovani attori. Verve ottenuta anche dai giochi di parole e dalle inflessioni dialettali, con forte funzione connotativi: la simpatia del bolognese, l’omertà del siciliano, lo snobismo dandy.

SCENA & RETROSCENA: Scenografia essenziale, quasi inesistente: due pianoforti, una tavolata e quattro alberelli agli angoli, a delimitare la magione di Lionato, poi spostati al centro, a ricreare il giardino, infine eliminati del tutto. Come in una galleria multimediale, ogni scena è un patchwork visivo o sonoro: se sul fondale i personaggi banchettano, sul proscenio architettano strategie d’innamoramento, se al centro del palco bisbigliano, da dietro le quinte altri cantano. È una continua osmosi tra il dentro e il fuori, l’essere e l’apparire, la realtà e la maschera. Shakespeare lo aveva sottolineato nel testo, Lavia lo ha ribadito con scene e costumi. Gli attori, in effetti, sono sempre in jeans e sneakers neri, anche quando indossano o trascinano le giacche pensate da Andrea Viotti, lasciate aperte ad arte sulla mise nera. Il senso della pièce ottiene maggiore eco da questi input visivi, forse perché viviamo il secolo dell’immagine: l’esteriorità spesso inganna, la forza non è di chi alza la voce, facendo “molto rumore per nulla”, ma di chi riesce a scorgere la verità oltre la maschera e i sofismi linguistici. 


LO SAPEVATE CHE…? “Much ado about nothing” ha avuto almeno undici trasposizioni cinematografiche, a partire dalla versione di Smalley del 1913, con Pearl White. Franco Zeffirelli, più volte regista teatrale dell’opera, figura nel cast tecnico della versione televisiva voluta nel ’67 dalla BBC. La pellicola più conosciuta è probabilmente quella firmata dall’inglese Kenneth Branagh nel ’93, con lo stesso regista nei panni di Benedetto, Emma Thompson in quelli di Beatrice, Keanu Reeves come Don Juan e Danzel Washington Don Pedro.

Il bravo attore che al Teatro Argentina ricopre il ruolo di Lionato, Pietro Biondi, è anche doppiatore. Tra gli altri, ha prestato la sua voce profonda ad Harvey Keitel (Thelma & Louise, Pulp Fiction), a Donald Sutherland (Rivelazioni e Orgoglio e pregiudizio) e Walter Matthau (Una coppia di scoppiati, Due irresistibili brontoloni). Non li avete visti? Allora provate Rick Dicker nel film d’animazione “Gli Incredibili”, o Anton Ego in “Ratatouille”.


La BATTUTA. Come dice il grande filosofo pitagorico “Chi fa per tre fa per tre”.

Teatro Argentina - Via di Torre Argentina, 52 – tel. 06.6 875445
Fino al 13 dicembre

Maria Vittoria Solomita