Le Pulle

28/01/2010

È stata la stessa autrice e regista a definirla amorale, un’operetta dedicata alle “pulle”, cioè alle prostitute che nella sua Palermo battono strade lontane dal Signore, ma forse nemmeno tanto. Emma Dante continua a sconcertare e commuovere, ad indignare e far riflettere attraverso le confessioni di quattro travestiti e un trans. Le loro parole stilettano il perbenismo di certa società cieca, mentre il dramma si snoda tra danza, canto e recitazione, in un poutpurri che sa di avanspettacolo. Immagini forti e nel contempo evanescenti accompagnano nell’Inferno delle pulle, che sul palco vivono una dimensione onirica e fantasiosa. Rosy, Sara, Ata, Moira e Stellina ricevono in sogno dalla guida Mab (la stessa Dante) tre protettrici sui generis: la fata danzante (Clio Gaudenzi), la fata parlante (Manuela Lo Sicco) e quella cantante (Elena Borgogni). Ha così inizio un turbinìo di sfilate, ricordi, meditazioni, litigi immersi in un bordello drappeggiato di damasco. Eppure tacchi vertiginosi, decollete vernice shocking, paillettes e lustrini accecano solo i superficiali, ad uno sguardo più attento le storie delle pulle riservano una triste epifania: un passato fatto di abusi, un presente da emarginate ed un futuro caricato di sogni (forse) irrealizzabili, come la voglia di maternità o di un menage familiare standard. “Quann c sta ‘a ammor ‘na soluzion s’ trov’” dice Stellina (l’esplosivo Carmine Maringola, anche curatore delle scene), dileggiata per questa ingenuità dalle altre pulle (Ersilia Lombardo, Sandro Maria Campagna, Sabino Civilleri e Antonio Puccia).
 Emma Dante dirige la macchina direttamente sul palco, interpretando le musiche di Gianluca Porcu - in arte Lu - e controllando le tarantolate partiture gestuali: tutto è sincopato e sovrapposto, come gli animi delle pulle. E allora il postribolo si trasforma in salotto ibseniano, centro di tortura, dove le tele della scenografia si impregnano di vendetta, le parole si inacidiscono e, taglienti, si alternano a momenti più leggeri, sebbene sempre venati di pathos. Le tre fate continuano a dispensare consigli: il corpo va modificato, evitando accuratamente il cibo, per cui agli attacchi bulimici si ripara col vomito. Le pulle devono farsi simulacri, bambole dinoccolate e scomposte, dai movimenti forzatamente accelerati; bambole di piacere per gli avventori, bambole gonfiabili, piene d’aria ma prive d’anima. E le bambole assumono pose inequivocabili, inscenano orgasmi, agitano falli di gomma, si dimenano in un crescendo grottesco. Raggiunto l’acme, il sogno svanisce, forse eccessivo, ma nemmeno troppo, se lo si paragona all’attuale medio menù televisivo.
Eppure il teatro di Emma Dante è stato ritenuto eccessivamente iconoclastico per essere prodotto in Sicilia; viene piuttosto sostenuto dai Teatro Stabile di Napoli, Théâtre du Rond-Point di Parigi e Théâtre National de la Communaté Française di Bruxelles. Noi lo consigliamo, invece, perché “Le pulle” superano ogni etichetta di genere, abbattendo la differenza tra maschile e femminile, e trans: soppiantano il reale con dei simulacri. Baudrillard ne sarebbe entusiasta, e noi con lui.

Maria Vittoria Solomita