Il piacere dell'onestà

13/04/2010

Torna per la seconda volta al Teatro di via Nazionale una tra le opere più feroci di Pirandello, spettacolo campione d’incassi del 2008.
Dramma che sferza l’ipocrisia borghese attraverso l’espediente, già usato in “Ma non è una cosa seria” e “Pensaci Giacomino!”, il matrimonio di facciata. Agata è, difatti, incinta del marchese Fabio Colli, già sposato, per cui i di lei genitori architettano un’unione che possa rivelarsi conveniente per tutti. Avveduti e scaltri, prospettano al dissennato e debitore Angelo Baldovino un matrimonio che possa coprirgli tutte le morosità. Coerentemente alla maschera di vile, Baldovino-Gullotta accetta la proposta. Man mano che la linea narrativa si sviluppa, però, le maschere si invertono e in scena è portato il cortocircuito tra essere ed apparire: i rispettabili si rivelano per bassi e il disonesto per antonomasia può godere del “piacere dell’onestà”.
 Tutti gli snodi sono funzionali allo svelamento della vera natura dei personaggi: nella trattativa delle nozze, nei preparativi del battesimo, nella tentata accusa di latrocinio ai danni di Baldovino sono racchiuse le iniquità e l’ipocrisia di una famiglia che è emblema di una classe sociale. L’emarginato, invece, dà prova della sua rettitudine morale e riesce a farsi rispettare ed amare da Agata. Il ribaltamento, o meglio, lo smascheramento della vera natura umana piace e piacque, soprattutto perché vista, in scala, come contrapposizione di classe anche a Gramsci, tanto da guadagnare una lodevole recensione nel 1917, sulle colonne dell’Avanti!.  
Probabilmente nella versione del secolo scorso la scenografia era meno minimalista, oggi all’Eliseo quasi surreale. Luigi Perego ha pensato una fiabesca scatola di vetro a racchiudere i personaggi, preda di isteria da contatto col suolo: i borghesi vogliono restare nel loro mondo ovattato, luccicante e ingannevole. E alle volte sembrano restarci, imbavagliati, anche gli attori (il marchese-Duane, Agata- Beotti, la madre-Mazzeranghi), ingessati e misurati, nei sobri costumi dello stesso Perego. Regge bene la scena Paolo Lorimer, Maurizio, cugino di Agata, con deliziose pose da tricotillomane e dandy annoiato. Leo Gullotta fa suo il testo di Pirandello, assume con naturalezza e pathos i tratti di Baldivino e i suoi funambolismi linguistici traggono in inganno il marchese, così come il pubblico, in bilico tra l’odio e l’empatia per un personaggio (volutamente) criptico per tre quarti dell’opera.
 Tensione crescente, come in un thriller, fino al pianto finale, catartico, infantile di Baldovino-gullotta. Il pianto di chi è impotente: Baldovino oramai è un onesto e, come tale, sarà un’eccezione, un rifiuto. I sonaglietti in sottofondo ricordano il pianto ma, soprattutto, ci ricordano le suggestive composizioni di Germano Mazzocchetti, vigorose e brillanti; acquisiscono corpo sul palco, ma per forza evocativa potrebbero tranquillamente staccarsene.

Maria Vittoria Solomita