“La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma ciò che siamo. Fernando Pessoa, caro Millenovecento...”
Potrebbe essere un aforisma o un acronimo di parole private, il testo più adatto a dialogare con l'oramai trascorso XX secolo ...magari da inserire come corpo di un messaggio inviato digitando- con l'ausilio del solo dito pollice- sulla tastiera di un telefono cellulare...Tale padre,tale figlio: SMS, short message service, ultima frontiera della comunicazione alle soglie del 2000 accanto a libri di storia, trattati scientifici, romanzi, poesie , concerti, colonne sonore ed ogni altra forma di opera artistica dalla pittura, alla scultura, dal teatro al cinema che ha argomentato a proposito dei cento anni del 1900, per antonomasia, noto come “secolo breve”. Da “Novecento”, il monologo teatrale di Alessandro Baricco (1994), al film omonimo del 1976 diretto dal Maestro Bernardo Bertolucci, all'autobiografia di un altro pilastro del cinema italiano: Carlo Lizzani intitolato “Il mio lungo viaggio nel secolo breve “(2007), fino al nome di una band italiana e di una casa editrice “Novecento Media”, per rimanere in patria, il catalogo in cui compare, a lettere, la cifra 900 potrebbe proseguire senza posa. Meno diffusa sembra essere invece la sua corretta denominazione priva di troncamento iniziale : Millenovecento, figlio e padre , al tempo stesso, del suo passato. Con tale delicata ed attenta apparente irrilevanza si viene condotti a celebrare,commemorare ,in una liturgia della memoria fresca e sempre vivida, orecchiabile per nobili,miserabili e gente qualunque, comune, una biografia del Signor 1900, liberamente tratta dalla cornucopia di eventi accaduti nei suoi decenni, percependone la vasta gamma di nuances che una voce performativa, su una cangiante melodia di strumenti musicali pronti a sostenerla, sa regalare.
“Caro Millenovecento-Ricordi e accordi del secolo breve” è infatti il lodevole spettacolo di Fabio R. d'Ettorre e Patrizia B. La Fonte ,diretto da quest'ultima, in scena nel mese di luglio presso la sala del Museo Canonica di Villa Borghese a Roma, con tappe infrasettimanali in paesi limitrofi, che ha riscosso grande successo presso il pubblico rieducato a saper “vedere” una pièce quasi di teatro civile con musica dal vivo, all'atmosfera da camera intima, tipica di momenti rinascimentali o barocchi e ancora più indietro nel tempo, fino allo scoccare dell'anno zero, quando Seneca scriveva e rappresentava le sue “recitationes” per l'Imperatore e la corte. Non liuti, arpe o viole, ma la lingua internazionale che le corde di tre chitarre insieme sanno parlare pizzicate da Marco Cianchi, Fabio Renato d'Ettorre e Ferdinando Lepri (Trio chitarristico di Roma, al ventiseiesimo anno di attività) invitati a rievocare, descrivere, contestualizzare musicalmente la lunga lettera aperta che Patrizia La Fonte scrive con la seguente intestazione: “Caro Millenovecento”. Quest'ultima, interprete teatrale, televisiva e cinematografica (diretta anche da P.F. Campanile, M. Monicelli, N. Loy, D. D’Ambrosi, F. Ozpetek (“Cuore Sacro”), C. Bortone (“Rosso come il cielo”, David di Donatello Giovani 2007) nonché autrice di testi soprattutto di cabaret messi in scena ad esempio presso lo Zelig a Milano e conduttrice, veste i panni di una guida extra -ed intra-diegetica riuscendo grazie all'abilità di stare perfettamente in ascolto con la ritmica dell'oggetto da esaminare, a coinvolgere i musici come voci recitanti in un viaggio simile, in alcuni casi, ad una seduta di entomologia condotta alla Desmond Morris.
Forse si tratta di un'ipotetica fine d'anno …cornice, chissà, il 31 dicembre 1999, quando la frenesia dei festeggiamenti per l'era che verrà, scatena un ancestrale desiderio benaugurante di distruzione di quanto è stato: ha valore, solamente, il futuro scivolante minuto dopo minuto nel già consumato presente ...tuttavia una donna sensibile,un essere umano, inverte la rotta spalancando occhi intelligenti proprio sul “grande escluso”. Prova dunque ad inviare un sms, senza rinvenire la giusta ispirazione, benché la difficoltà, credo , non derivi dal contenuto, bensì dall'urgenza di impiegare la forma, intesa come codice, più adatta per comunicare con il secolo che ha rivoluzionato, innanzitutto, le modalità di espressione, percezione, interpretazione e decriptazione.
Optando per un'epistola , qua e là, il discorso diretto, il flusso di coscienza, l'invettiva, il monologo ecc...imbastiscono un dialogo con il Millenovecento-muto ascoltatore e testimone di sé stesso chiedendogli conferma ed uno sforzo mnemonico ripetendo il Leit Motiv “Ti ricordi? Non ti ricordi?”.La novità interessante raggiunta dallo spettacolo consiste nel tracciare un percorso all'insegna del dominio dell'Arte tout court,quale fil rouge privilegiato, in particolar modo la musica , sebbene lo si affronti con dovizia di particolari secondo un iter cronologico corretto in cui la politica,le scoperte scientifiche, l'economia partecipano, non ultime, alla definizione polifonica - di bachtiniana matrice-dei cento anni in questione. L'éscamotage alias il pretesto della lettera oscilla nell'indefinizione di un genere e di una strada da percorrere: osmosi e trasformazioni al posto di nascite e morti;conversioni,convergenze,coincidenze e concomitanze “color” mélo insegnano emozionando . Tra musiche, atmosfere e rarefatti passi di danza Patrizia percorre tutto il secolo, rievoca episodi ed emozioni, dalla Belle Epoque alle guerre mondiali, dall'allunaggio al crollo dell'abominevole muro.
Parte della verità viene fuori ,come un fantasma,dagli archivi e inizia a circolare sulla carta e sul desktop dei personal computer ,su cui paradossalmente non rimane testimonianza della “brutta copia”: si “digita” e si “taglia”, si “copia-incolla” mentre forse a restare , unica traccia emozionale, è il retrogusto amaro per le “sudate carte” ... A forza di loggarsi, chattare, messaggiare , taggare, postare, i figli di Novecento hanno disimparato a comprendere antiche grafie (in stile mélo),oramai globalizzate in un goffo ed inespressivo semistampatello e a leggere ossia decodificare il contenuto di strutture diffuse durante i suoi cento anni di vita : il virtuale reinventa, pretende di riconcepire ossia, nel vero senso del verbo,di rimettere al mondo, l'atto della creazione psicofisiologica di un gesto .Si va dal bacio ,al sesso,ad una semplice carezza, ad un incontro di sguardi giacché il 3D garantisce piacere aptico, a mo' di pratica onanistica con cui sostituirsi definitivamente agli altri ,alla società,come un individuo plurimo e bastante a sé stesso. Vana illusione , nessun sentimento può essere riprodotto industrialmente, gli organi di senso rimarranno in cinque a dare respiro alla vita perché il tempo mai si potrà fermare :altra corsa, altro secolo, arrivi, ritorni e partenze , nuove storie , amori , delusioni, in un ciclo continuo e mai banale di nascita e morte , di confusioni, mescolanze, sdoppiamenti, per cui una donna girata di spalle al pubblico, indossando un papillon ed un frac, racconta, nel voltarsi con nuova postura, del suo opposto, l'essere maschile, l'uomo , diventandolo per esserlo e viverlo .
La magnifica naïveté che regna in un circo, metafisico e terrestre , sublime e crudele , paradossale e plausibile, l'esplosione di colori indistinguibili se ruotati insieme a grande velocità ,che sono e non sono sé stessi ,escono ed entrano nel vortice per un breve barlume di celebrità: “appaiono “ nell'esecuzione finale delle musiche di Nino Rota tipicamente clownesche in svariati film di Fellini:il clown per natura è un essere “spettacolare” che vive al centro di una pista , cioè al centro del mondo e si carica dell' umana tragedia , la converte in risata e così via in un' alchimia sacra salvifica per chi guarda insieme al mondo intero ridivenuto bambino quando un altro simile, un adulto, con un foglio di giornale riprova il piacere dei sogni portati, con la fantasia, in groppa ad un aeroplanino di carta.