
Certi articoli non vorresti mai scriverli. Stavo guardando un telegiornale sportivo, quando la notizia trapela anche lì: Mario Monicelli è morto. Il mio primo pensiero è stato: poveretto, era così vitale. Anche se aveva 95 anni ed era malato, mi aspettavo di vederlo ancora a lungo, indomito, seguire i funerali degli altri. Mi è così passata la voglia di sentire i pettegolezzi di calciomercato, e ho cercato un altro notiziario che mi dicesse qualcosa di più. E lì sono rimasta scioccata. Perché Monicelli non è semplicemente “deceduto”. Si è suicidato. Si è gettato dalla finestra, al quinto piano, della stanza d'ospedale dove era ricoverato.
È orribile. Mi ci è voluto parecchio tempo per metabolizzare la notizia. D'accordo che, negli ultimi tempi, ultimo dei mohicani di una generazione di artisti che ha fatto la storia del cinema, era un po' giù (“E' triste vedere i tuoi amici morire uno a uno, ormai sono rimasto solo”). Però non avrei mai pensato che arrivasse a tanto. Ho fin pensato per un attimo che fosse una sua “zingarata” di pessimo gusto e che lui fosse lì a ridersela, osservando le reazioni del mondo dello spettacolo.
Poi ho capito. I termini “vitale” e “indomito” che poco prima avevo associato alla sua persona, non contraddicevano il gesto, anzi lo spiegavano. Il ribelle, caustico, irriverente Monicelli, non poteva accettare di spegnersi lentamente, tra mille dolori e tubicini. E ha inventato questo finale spiazzante.