Mario Fratti e i suoi consigli ad una giovane commediografa

17/01/2011

Aforisma. Massima che esprime in forma sintetica un pensiero morale o un sapere pratico.
Nemo propheta in patria. Mario Fratti.
Potrei chiudere qui, scrivere di aver visto e analizzato alcuni spettacoli con l’autore di “Nine”, firmare ed inviare al direttore. Credo, però, sia molto più proficuo ed etico far conoscere alle fresche leve, troppo spesso scoraggiate e demotivate, come si è mosso e cosa spinge un drammaturgo a lavorare instancabilmente per oltre cinquant’anni.
Mario Fratti, al pari di molti aspiranti autori, ha investito nella formazione, laureandosi a Venezia, e ha presentato sin da subito i suoi scritti a vari concorsi. La RAI gli ha riconosciuto del talento, premiandolo per l’atto unico “Il nastro”, salvo poi censurargli quelle confessioni sotto tortura dei partigiani, perché troppo sovversive. «Ma come, se “Il nastro” doveva essere un radiodramma contro il Nazismo?! Questo singolare rapporto tra RAI e censura è cambiato?» «Assolutamente, non è cambiato nulla».
Stando a Sartre, la giovinezza consisterebbe nel provare quotidianamente, a contatto con la vita, la forza e la tenacia delle proprie idee. Fratti ha incarnato decisamente il modello sartriano, continuando a scrivere e a proporre opere, finché, nel ’62, il suo “Suicidio” è stato notato al Festival di Spoleto da Lee Strasberg, che l’ha voluto a New York. «Il segreto del mio successo? La persistenza.» Appunto, Grande Mela, grande successo. Ma all’Estero; perché dover lasciare L’Aquila e l’Italia? « Perché in Italia siamo sessanta milioni di geni e se uno si discosta vagamente dalla massa, se si fa notare, se è migliore, gli altri lo odiano.»
 In America, di Fratti piace lo stile asciutto, privo delle ridondanze di certo teatro europeo, che pure fa riflettere. Dal 1963, sin da quando si è trasferito negli Stati Uniti iniziando a insegnare alla Columbia University di New York, Fratti è in costante attività. Oggi la sua produzione conta oltre novanta opere che, tradotte in venti lingue, sono rappresentate in seicento teatri dei cinque continenti. Tra le opere principali, Suicidio (1962), La gabbia (1962), L’Accademia (1964), I frigoriferi (1964), Che Guevara (1970), Eleonora Duse (1972), Mafia (1974), Six Passionate Women (1978), Nine (1981), A.I.D.S. (1988), Porno (1990), Amanti (1991), Cecità (2004).
Ma come si scrive esattamente un’ottima pièce? In quanto tempo? «Tutto sta nella gestazione, che deve essere lunga. Una volta che hai familiarizzato con la storia, che conosci i personaggi, puoi buttar giù il copione anche in una nottata.»
E i suoi personaggi sono netti, chiari, sono buoni o cattivi, mai enigmatici. Sono figure strumentali ad una cruda denuncia politica e sociale, con pensieri e parole comuni a molti spettatori, articolati in un linguaggio basico e quotidiano. «Ma le donne son sempre martiri, sono le grandi e nobili vittime dell’uomo, dal canto suo, egoista e farabutto.» Verrebbe da chiedere se questa dicotomia umana viene dal suo vissuto, dalle biografie di amici o dalla cronaca cittadina, magari dalle pagine di un quotidiano sfogliato casualmente in una caffetteria. «Una volta Tennessee Williams mi disse che un’opera, per funzionare, ha bisogno di integrare, amalgamandoli, tre elementi: cronaca, autobiografia ed immaginazione. Ho seguito il consiglio.» E ai suoi corsisti, Mario Fratti ha sempre caldamente consigliato anche lo studio di Pirandello, Brecht e Arthur Miller. Senza aver assimilato i magnifici quattro, difficilmente si può diventare un bravo drammaturgo. Di sicuro Fratti ne ha saputo trarre profitto, ottenendo non pochi riconoscimenti. Tra gli altri, il Premio Selezione O’Neil, il Richard Roger, L’Outer Critics, l’Heritage and Culture, otto Drama Desk Awards e ben sette Tony Awards. Il suo più grande successo resta “Nine”, musical ispirato all’ “8 e mezzo” di Federico Fellini, in scena a Broadway ininterrottamente dal 1981; nel cast della versione del 2003, anche Antonio Banderas. «E quest’anno si allestiranno produzioni in Finlandia, Corea del Sud e Giappone» sottolinea vispo e orgoglioso. E come non esserlo, dato che a 83 anni è arzillo e iperattivo, loquace e perspicace.
Altri progetti in cantiere? «Io sono costantemente all’opera. L’ultimo lavoro l’ho scritto ieri notte.» «Titolo?». Sorride e abbassa lo sguardo. Forse non ha la versione definitiva. «Fratello, ed è il titolo definitivo». Non chiedo la trama, ma almeno qualche caratteristica del protagonista. Che sia una donna? «No, è un uomo potentissimo e dittatoriale». È americano, come il sogno che molti accarezzano...ma esiste ancora il sogno americano? «Dovrebbe. Meglio crederci, perché aiuta a vivere.» Sì, ma oggi è molto difficile seguire le proprie passioni e credere che i sogni possano diventare realtà. «Dipende dall’ottimismo del sognatore. Per me è facile, perché resto enormemente ottimista.» Tonino Guerra l’appoggerebbe di certo. «Ma, sinceramente, consiglierebbe la carriera artistica ad un figlio, nel 2011, con la crisi mondiale che stiamo attraversando?». «Beh, con l’arte si guadagna generalmente poco. E si soffre».
La chiosa non mi ha particolarmente entusiasmata, anzi, ha quasi stroncato le mie velleità artistiche. Eppure, un barlume di speranza continua a bruciare, soprattutto dopo aver assistito insieme a due spettacoli newyorkesi, This is our youth (di Kenneth Lonergan, regia Alice Spivak) e La tarantella (di Alessandra Belloni, diretta da Jeff Whiting).
Teorema: «Non si consiglia di desistere. I sogni non si spengono. Mai».
Corollario: «Bisogna essere autocritici o si sprecano anni cercando di far fruttare i talenti sbagliati».

Maria Vittoria Solomita