
Steno iniziò la sua carriera registica girando insieme a Monicelli otto pellicole, tra cui Al diavolo la celebrità (1949) e alcune interpretate da Totò (Guardie e ladri, 1951; Totò e i re di Roma, 1951; Totò e le donne, 1952): come nacque questa collaborazione e come poi si sfaldò?"
La collaborazione nasce dal fatto che mio padre e Mario Monicelli già negli anni Quaranta formavano una fortissima coppia di sceneggiatori: avevano lavorato per Mario Camerini, Freda, Blasetti, Castellani e tantissimi altri registi importanti di allora. Poi nel primo dopoguerra, siccome erano molto legati a Ponti e De Laurentiis, iniziarono a sceneggiare anche dei film di Totò, e a un certo punto De Laurentiis disse: 'Siccome siete molto esperti di Totò, perché questo prossimo film non lo fate insieme?', e decisero di passare alla regia con Totò cerca casa, facendo una serie di film nei quali si dividevano abbastanza i compiti. Ci sono delle interviste di Monicelli piuttosto esaurienti in tal senso: la sceneggiatura la facevano insieme, Monicelli era più interessato ai movimenti di macchina e a mio padre era affidato più il lavoro sul set con gli attori. A un certo punto, per ragioni che spesso succedono nelle coppie, ognuno ha preso la sua strada, ma non fu una separazione traumatica bensì assolutamente consensuale, tant'è vero che il rapporto tra loro fu meraviglioso fino a quando mio padre era vivo. Sono stati grandissimi amici, e il rispetto che aveva Monicelli per mio padre era immenso: affermava che era un grandissimo scrittore

Sia come regista che come sceneggiatore, Steno collaborò poi a moltissime produzioni cinematografiche italiane: tra i suoi film di maggiore successo, Totò a colori (1952), esilarante antologia dei più noti sketch di rivista del grande comico napoletano, nonché primo film italiano a colori; Un americano a Roma (1954), che lanciò il talento comico di uno strepitoso Alberto Sordi, indimenticabile nei panni di un giovane fannullone che cerca di “ammericanizzarsi” senza successo, simbolo di un Italia appena uscita dalle macerie del dopoguerra fortemente influenzata dalle luci sfavillanti della cultura USA; Il vichingo venuto dal Sud (1971), divertente satira dell’italico gallismo nel sessualmente libero Nord Europa; La polizia ringrazia (1972), nobile capostipite dei “poliziotteschi” che tanto inflazionarono il nostro cinema di genere negli anni Settanta, con il “commissario di ferro” Enrico Maria Salerno alle prese con un gruppo di “giustizieri della notte” che mirano ad un vero e proprio colpo di Stato; Febbre da cavallo (1976), irresistibile affresco del mondo delle scommesse ippiche, con un leggendario Gigi Proiètti negli “storici” panni del “Mandrake”, incallito scommettitore morto di fame; Mani di fata (1984), in cui il Nostro ironizza sul ruolo dei sessi con il graffio leggero non indegno di un Blake Edwards all’italiana.
Cosa spinse Steno negli ultimi anni a lavorare anche per la televisione?
"Mio padre non aveva un grande feeling con la televisione, fece poche cose in realtà: L'ombra nera del Vesuvio, che gli diede molti dolori perché fu censurato dalla RAI, in quanto parlava dei rapporti tra la politica e il malaffare napoletano e, dopo alcune interrogazioni parlamentari, i funzionari di allora decisero di tagliare dei pezzi, cosa che fece arrabbiare molto mio padre; una lunga versione televisiva di un film per il cinema - che ho scritto anch'io con lui - intitolato Mi faccia causa, con Christian De Sica che faceva un giudice con tanti casi da risolvere; Big Man, una serie con Bud Spencer con cui praticamente chiuse la sua carriera, essendo morto proprio durante le riprese. A papà però la televisione non piaceva affatto".
Sono passati più di vent'anni dalla scomparsa di Steno: cosa Le manca di più di lui come padre e come regista?
"È stata una figura centrale della mia vita: i rapporti tra figli e genitori sono spesso complicati, nel nostro caso non lo sono stati per niente. Era un uomo finissimo, simpaticissimo, liberale nel senso vero della parola: aveva un modo di giudicare gli altri assolutamente giusto e sensibile, per cui di lui mi manca l'avere accanto una persona che ha attraversato il cinema - la sua professione - con una grande eleganza e leggerezza, e soprattutto con il fatto di non essersi mai preso sul serio".