Jonathan Demme in viaggio con Neil Young

19/09/2011

Dopo la proiezione per la stampa di “Neil Young Journeys”, documentario musicale su Neil Young, il regista Jonathan Demme, ospite del Milano Film Festival, si è concesso alle domande dei giornalisti, che hanno spaziato dai suoi più grandi successi (Il silenzio degli innocenti,  Rachel sta per sposarsi, Philadelhia) ai suoi ultimi lavori, tra cui appunto il recentissimo film sul cantante americano.

Come definirebbe questo suo ultimo film? E come mai ancora una volta su Neil Young?
Come regista, seguo sempre il mio entusiasmo, che in questo caso è molto forte, io amo Neil Young, e forse questo mio entusiasmo si vede anche troppo, io potrei seguirlo per otto ore al giorno, filmarlo, e farci un film. Il problema poi è sapere se anche al pubblico piace questo tipo di lavoro. Molti mi chiedono se non è noioso continuare a basarsi solo su un personaggio, per me questo è il terzo film su di Neil, ma ogni volta c’è  qualcosa di diverso da quello precendente, è un pezzo unico.
Il film si intitolava originariamente “Neil Young life”, poi è stato recentemente cambiato in ”Neil Young Journeys”. Come mai questa decisione?
La storia al riguardo è curiosa. Neil stesso un giorno, parlando con un amico, alla domanda sul titolo, quasi si stava strozzando a dire “life”, come se fosse una parola troppo importante associata al suo nome, e quindi ha detto “journeys”. A quel punto ho pensato anche io che, se questo era il suo pensiero, forse avrei dovuto accontentarlo, anche perché la cosa più importante è che sia bello il film, non il titolo!
Le riprese sono spesso molto ravvicinate, dei primissimi piani su Neil dal pianoforte, dal microfono. Quale è stato il motivo di questa scelta?
Quello che mi interessava erano le performances di Neil, e così è stato immmediato pensare a delle telecamere (sei in totale, e a volte anche di più) che lo seguissero durante i concerti in modo molto vicino, e discreto. Così il pubblico ha potuto vedere come è lui davvero, senza filtri. Neil da molti anni non si presentava sul palco da solo, e quindi ritengo che la sua scelta di fare questo tour senza la storica band sia stata davvero coraggiosa. Le riprese del concerto si riferiscono all’ultima data alla Massey Hall di Toronto, e penso sia visibile quanto lui a volte non solo cantasse le canzoni, ma diventasse parte di esse, le incarnasse.
Questo è il terzo film girato sulla vita di Neil Young, dopo così tanto tempo passato insieme, come potrebbe definire il vostro rapporto?
Sono molto felice e onorato di poter dire che adesso lo definisco un mio amico, anche se mi sembra ancora difficile crederlo, ma è così. Durante i suoi concerti mi sentivo quasi parte della band, talmente intenso era il nostro rapporto. Durante il montaggio però mi sono accorto che era importante rendere visibile anche al pubblico queste mie sensazioni, quindi ho voluto aggiungere delle parti in cui Neil spiegasse la sua storia, le sue canzoni, oltre che cantarle. Inoltre abbiamo aggiunto dei riferimenti alle canzoni con la tragedia della Kent State University in Ohio e il filmino con Leia che suona il piano, sempre per dare importanza tangibile ai sentimenti narrati nelle canzoni di Neil.

Perché dopo il grandissimo successo de “Il silenzio degli innocenti” ha decido di cambiare strada dedicandosi anche a progetti più di nicchia?
Prima di tutto devo confessare di non essere in grado di pianificare il mio futuro, soprattutto quello lavorativo. Quando il film ha avuto quell’enorme successo, ho avuto la possibilità, il “potere” di scegliere autonomamente il prossimo progetto, basandomi solo su ciò che mi interessava veramente, come il problema dell’AIDS, dell’omofobia. Sono stato fortunato che anche il mio secondo film –Philadelphia- ha avuto un grandissimo successo, e da lì di nuovo ho potuto seguire il mio gusto e parlare di razzismo, e della storia americana –Beloved-. In sostanza ho sempre fatto ciò che volevo, dai documentari ai blockbusters, dove devo dire che si guadagna molto, è vero, però quando nel 2005 ho iniziato a capire che non mi divertivo più, avevo troppe pressioni, e il cinema stava cambiando, allora ho deciso di spostarmi più decisamente sui documentari. Ora i miei prossimi progetti sono un film di animazione e poi, forse, un film dal prossimo libro di Stephen King.

La sedicesima edizione del Milano Film Festival ha dedicato a Jonathan Demme la retrospettiva completa, con tutti i suoi più grandi successi e la possibilità di parteciapre anche ad una lezione di cinema tenuta dal grande regista statunitense.

Foto di Cecilia Mussi

Cecilia Mussi