“Mio marito Sergio, poliedrico artigiano del cinema italiano”: incontro con Nori Corbucci

15/10/2011

Sergio esordì con alcuni melodrammi popolari come La peccatrice dell’isola (1952): che apporto diede al genere secondo Lei?
Dopo la fine della guerra erano di moda i film melodrammatici di Matarazzo con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson, e un produttore chiese a mio marito – allora molto giovane – di seguire quel filone perché andava di moda, ma non erano film che lui amava.

In seguito Sergio diresse alcuni film con Totò protagonista, come Chi si ferma è perduto (1960), I due marescialli (1961) e Lo smemorato di Collegno (1962): come fu il suo rapporto con il Principe della risata?
Purtroppo Totò non stava bene, vedeva già pochissimo, e mio marito lo curava molto: il Principe De Curtis arrivava sul set mai prima di mezzogiorno e poi con Sergio discuteva di notte del film da girare e delle battute da mettere. Mio marito ha fatto sette film con Totò: poi il grande Pasolini si accorse della poesia che c’era in Totò e gli ha fatto fare gli ultimi tre film della sua vita, mentre con mio marito ha fatto i penultimi. Il rapporto era straordinario perché Totò sul set era il Principe De Curtis: era un gran signore e una persona molto corretta, quindi si poteva solo andare d’accordo con Totò. Non era il buffone che si vedeva nel cinema: il principe De Curtis vedeva con distacco quella grande maschera che era Totò, gli era solo necessaria per guadagnarsi da vivere, ma non amava molto quel personaggio.

Nella seconda metà degli anni Sessanta Sergio si dedicò allo “spaghetti western”, distinguendosi soprattutto con Django! (1966): che apporto diede al genere secondo Lei?
Straordinario, perché Sergio è considerato un maestro: prima di Sergio Leone, è stato tra l’altro il primo a firmarsi col suo nome e a fare un film western. Molti hanno una grande considerazione di lui: da Quentin Tarantino, che in questo momento sta girando in America un remake di Django! dedicato a mio marito, al MoMa di New York, che ne possiede una copia catalogata come un film eccezionale, fino a Marco Giusti, che ha fatto un’ enciclopedia di film western e in copertina ha messo Django! Poi ne ha fatti moltissimi altri: mio marito è riconosciuto soprattutto per i western, e ancora oggi mi vengono a intervistare giapponesi per parlare di Sergio. Lui è molto ammirato in Giappone: tre anni fa hanno fatto una rassegna a Venezia su mio marito e c’erano due giapponesi che avevano fatto un remake del film di Sergio. Gli americani invece conoscono mio marito soprattutto per i film con Terence Hill e Bud Spencer, perché lui ha girato anche con loro a Miami: tra l’altro è stato il primo regista a scegliere posti belli per girare, come la Sardegna o Cortina d’Ampezzo.
Tornato alla commedia, Sergio ha poi continuato a firmare decine di film di successo, fra i quali Il bestione (1974), Di che segno sei? (1975), Mi faccio la barca (1980), Il conte Tacchia (1982), Rimini Rimini (1987) e alcuni a sfondo giallo (La mazzetta, 1978; Giallo napoletano, 1979; I giorni del commissario Ambrosio, 1989): che apporto diede al genere secondo Lei?
 La mazzetta e Giallo napoletano sono state le commedie di maggiore successo di mio marito e le più belle in assoluto. Giallo napoletano è stato un grande successo di critica, e per la prima volta hanno considerato mio marito un regista impegnato. Sergio è stato importante perché ha fatto dei film che non erano solo comici ma facevano anche pensare, come La mazzetta che è una critica a quella mazzetta che tutt’oggi riempie le prime pagine. Questi due sono appunto i suoi film più apprezzati dal punto di vista estetico e critico: per il resto mio marito accettava quasi tutto, perché poi con i suoi sceneggiatori aggiustava i film come piacevano a lui.

A più di vent'anni dalla scomparsa, cosa rimane secondo Lei di Sergio come uomo e come regista?
Rimane moltissimo, perché avrò almeno dieci interviste l’anno - se non di più - con persone che come Lei mi chiedono di ricordarlo: poi escono libri e articoli sui giornali. Quentin Tarantino è un grande ammiratore di Sergio, mi ha riempito di complimenti; in Germania hanno scritto un libro su di lui… quindi c’è tutto un revival di persone che riconoscono e riguardano con altri occhi il cinema di mio marito: ovviamente non era tutto straordinario, perché su ottanta film che ha girato non si salvano tutti, ma comunque ne ha fatti almeno una trentina eccezionali.

Alessandro Ticozzi