Un Critico “Controcorrente”: Incontro con Massimo Bertarelli
13/03/2012

Da cosa nasce questo tuo spirito di critico cinematografico “controcorrente” per Il Giornale?
È nato prima di tutto dalla passione per il cinema che ho nel sangue da sempre: fin da quando ero ragazzino su dei quadernetti mi segno tutti i film che vedo, il titolo, l’anno, il cinema e la città in cui l’ho visto, gli attori e il giudizio che va dall’uno al dieci… quindi già da allora cominciavo a dare i voti. L’essere controcorrente deriva dal fastidio che mi provocano i critici “di regime” che amano i film che il pubblico detesta.
Che metro di valutazione usi per recensire i film?
Il primissimo metro di valutazione è l’effetto noia, cioè se un film è noioso per me è un film da bocciare, perché il difetto dei critici generalmente è quello di esaltare anche il film che le platee vedono da addormentati o da semiaddormentati, sbadigliando a quattro palmenti. Il problema principale secondo me è che noi critici vediamo anche cinque, sei, sette, otto film alla settimana, per cui anche se un film è noioso in pratica ci fa un baffo, lo sopportiamo e tiriamo avanti, ma il pubblico normale - che va al cinema una o due volte al mese, o al massimo una volta alla settimana - non vuole andare al cinema a rompersi le scatole: vuole andare a vedere dei film che in qualche modo lo infiammino, lo esaltino, gli dicano qualcosa, lo commuovano, gli provochi qualche emozione.

Cosa ti ha spinto a pubblicare dieci anni fa con la Gremese 1000 film da evitare, con prefazione di Massimo Boldi, cui ne hai aggiunti altri 500 l'anno successivo in una nuova edizione?
A dire tutta la verità è stato un collega che mi ha spinto a farlo, perché io sono un pigro di natura e poi detesto l’autocelebrazione: non c’avrei pensato nemmeno lontanamente, ma appunto questo collega a cui piacevano le mie recensioni “controcorrente” mi ha spinto a farlo; l’editore Gremese ha accettato al volo la proposta e così è nato il libro, e poi dal primo abbiamo ampliato ai millecinquecento e poi se ci sarà tempo, modo e voglia - soprattutto dell’editore - di farne un terzo lo faremo.
Quali sono per te i registi e i film più sopravvalutati della storia del cinema italiano e internazionale? E quelli più sottovalutati dalla critica “ufficiale”?
Del cinema italiano soprattutto due: Fellini e Antonioni. Non tutto di Fellini e Antonioni naturalmente è da buttare, però sono innamorato del Fellini prima maniera - Lo sceicco bianco, I vitelloni, La strada - ma il Fellini della seconda età non mi piace per niente, a cominciare dal pompatissimo Otto e mezzo: perfino Amarcord non mi piace tanto quanto i suoi primissimi film. Per Antonioni più o meno vale lo stesso discorso di Fellini: mi piacciono i primi due o tre, poi il resto diventa tutto insopportabile; credo che nemmeno lui capisse i film che faceva. Per quanto riguarda il cinema internazionale ce ne sono una valanga: Lynch, Von Trier, qualche Polanski, la cinematografia tedesca, quella asiatica in generale, certi pompatissimi russi - Tarkovskij credo che sia in assoluto il più indigesto al pubblico normale - ma ce n’è un elenco che non finisce più… in genere quelli che hanno cinque stellette e sono pieni di asterischi sui giornali specializzati o che mandano in brodo di giuggiole i grandi critici. I più sottovalutati sono per esempio i primi polizieschi della coppia Don Siegel e Clint Eastwood, che la critica ha quasi stroncato: sono affascinanti, pieni di tensione. Eastwood prima di essere trasformato in genio era considerato un “quaquaraqua” del cinema. Non tutti i film di Steno sono dei capolavori, ma lui è stato un regista bistrattato dai critici, come del resto i fratelli Vanzina - i figli di Steno - che certo non si possono chiamare dei geni del cinema, ma sono bravissimi in quasi tutti i loro film a segnalare i cambiamenti del costume. Sono commedie magari di un profilo che può sembrare anche medio-basso, o addirittura basso: invece hanno sempre un piglio, un andamento e una struttura che possono spiegare - soprattutto a distanza di anni - come si evolve il costume italiano.

Poi però sempre con la Gremese hai pubblicato un libro dedicato ai 100 film italiani da salvare: tra questi quali sono i più significativi secondo te?
I miei registi italiani preferiti sono tre: Risi, Monicelli e Germi. Difatti credo che siano i più citati in questo libro: mi pare che Risi e Monicelli ne abbiano sette-otto a testa di film. Parlando soprattutto di Risi, che è il mio regista preferito, amo soprattutto quei film che al cinema non hanno avuto un grande successo: per esempio Il giovedì e Il gaucho, e anche Risi stesso in un intervista li considerava con affetto i due film più cari, proprio per il fatto che non fossero stati abbastanza apprezzati dal pubblico.
Da circa due edizioni sei ospite fisso della trasmissione Cinematografo, condotta da Gigi Marzullo il sabato sera su Raiuno: lo consideri un importante traguardo per un critico “controcorrente” come te?
“Importante” mi sembra esagerato, ma un traguardo curioso e a suo modo anche significativo sì, nel senso che - accanto ai critici più illustri, ma anche più paludati - evidentemente ad alcuni nottambuli piace ogni tanto avere qualche stoccata da un critico schierato più dalla parte del pubblico e che, senza tanti peli sulla lingua, stronca senza pietà i film che lo fanno sbadigliare.
Alessandro Ticozzi