
Il Florence Korea Film Festival ha festeggiato il suo decimo compleanno nel migliore dei modi con un ospite d’eccezione: Song Kang-ho, l’attore più celebre ed acclamato in Corea, è stato omaggiato con il Premio alla Carriera, che ha ritirato la sera in cui è stato proiettato il film da lui giudicato il più rappresentativo della sua filmografia, “The show must go on” di Han Jae-rim. “E’ un film gangster ma che allo stesso tempo racconta parte della vita reale della Corea, attraverso gli occhi del capofamiglia alle prese con problemi quotidiani – spiega l’attore – Anche se rappresenti lo stesso ambiente puoi interpretare sempre un personaggio nuovo, e la mia ricerca continua è dare sfaccettature diverse anche al personaggio del gangster”.
E di ruoli diversi Song Kang-ho ci ha fornito un ampio panorama, sempre cambiando sottilmente registro, passando con sorprendente agilità ed altrettanto sorprendente mimesi fisica da una vena comica che sfocia nei ritmi perfetti della commedia a profondità drammatiche. E’ stato impiegato frustrato che si dà alla scena del wrestling come riscatto (The Foul King), detective goffo (il folgorante “Memories of Murder”), padre vendicativo (Sympathy for Mr. Vengeance, il primo capitolo di Park Chan-wook sulla trilogia della vendetta), prete vampiro tormentato dal peso della colpa (Thirst), più volte gangster, e da quando prende la decisione di non dedicarsi esclusivamente al palcoscenico teatrale il Cinema Coreano guadagna una stella.
“Se devo scegliere tra tutti un personaggio quello che preferisco è il protagonista di The Foul King perché è quello che trovo più simile a me. Tutti noi, in un modo o nell’altro, siamo oppressi dalla società e mi ha impressionato la sua continua ricerca e studio per arrivare a migliorare e risollevarsi, e anche se non arriva al risultato che vorrebbe va comunque avanti. In questo trovo che mi assomigli”
In The Foul King Song Kang-ho offre un’interpretazione perfetta per tempi comici e leggerezza. La sua natura comica infatti è prepotente e lo dimostra quando, sfoderando il più affascinante dei sorrisi, stempera l’intensità dell’incontro stampa nella leggerezza delle battute “Perché ho avuto la fortuna di lavorare con tanti registi? Perché gli attori coreani sono tutti molto belli, ma i registi non amano gli attori belli, è per questo che ho interpretato tanti film. Perché non ho mai lavorato con Kim Ki-duk? Lavora in modo troppo veloce, non fai in tempo a finire di leggere la sceneggiatura e lui ha già terminato il film”.
Eppure, allo stesso modo, regala ruoli intensi e toccanti e i più grandi registi coreani corrono da lui, primo fra tutti Park Chan-wook con il quale interpreta ben quattro film. “I loro metodi per far emergere le capacità dell’attore sono simili, ma Park Chan-wook vorrebbe sensazioni nuove, Lee Chang-dong vorrebbe che fossero gli attori stessi a rivelare i sentimenti, mentre con Bong Joon-ho è diverso ogni volta, come l’erba che ondeggia nei suoi film”.
E subito viene da pensare a quel vento che passa sui prati in “Memories of Murder” mentre la soluzione alla catena di delitti sembra quadrare e poi subito sfuggire lasciando sgomenti i due detective dai metodi diversi sulle tracce di un serial killer che uccide con la pioggia e sulle note di una triste canzone. Ed è proprio con Bong Joon-ho che Song Kang-ho sta girando il suo primo film in Europa, “Snowpiercer”, a Praga a fianco di Tilda Swinton.
“Si svolge su un treno che giunge alla fine del mondo, dove tutto è ghiacciato, e racconta dei sopravvissuti. E quelli che stanno sui vagoni dei più poveri cominciano a ribellarsi. E’ tratto da un fumetto francese”
“E di Kim Jee-woon invece cosa ci dice? Come è stato tornare a lavorare con lui a otto anni di distanza da The Foul King e, dopo una commedia, ritrovarlo in un western, quando già era diventato un regista di fama?”
“Con lui c’è una collaborazione interessante, è un regista che pretende sempre qualcosa di nuovo, e c’è quindi sempre un certo timore a girare un film con lui, si è come impauriti per quello che ti aspetta, quindi è ancora più interessante”.
In “The Good the Bad and The Weird”, personalissima rivisitazione del western all’italiana ed omaggio (più che remake) a Sergio Leone, Song Kang-ho è The Weird, la nota bizzarra, la scheggia impazzita che cambia registro al ritmo concitato e avventuroso del rutilante film di Kim Jee-woon.
“Essendo un omaggio al western, Kim Jee-woon doveva seguire un certo schema per restare fedele al film d’origine, ma allo stesso tempo lasciava spazio all’improvvisazione. Ogni sera ci dava la sceneggiatura da studiare, ma era inutile perché poi cambiava ogni giorno a modo suo. Gli altri due attori avevano uno stile più prefissato, che si rifaceva di più al genere western e ai modelli occidentali, il mio doveva restare più vicino alla cultura coreana”.
“Come è stata l’esperienza di interpretare, in un solo anno, due film sulla divisione tra le due Coree, Joint Security Area e Shiri?”
“In Joint Security Area interpreto un personaggio della Corea del Nord in Shiri uno della Corea del Sud, ma non ho avuto difficoltà nell’interpretare due personaggi diversi in così breve tempo. Anche se è stato più difficile interpretare il film di Park Chan-wook perché ho dovuto imparare il dialetto della Corea del Nord”
Sempre con Park Chan-wook ha dato una toccante interpretazione in Thirst, che non deve assolutamente essere catalogato come un film di Vampiri.
“La cultura sui Vampiri è molto meno diffusa da noi che in Occidente e Thirst non riprende gli elementi classici dei film di Vampiri ma parla della salvezza del genere umano, è un film sulla Religione, non sul Vampirismo. Ecco, se penso a Thirst mi viene in mente un’opera di Dalì”.
(Foto di Anna Maria Pelella)